La disfunzione più diffusa tra le Mamme di Lecco

La disfunzione più diffusa tra le Mamme di Lecco

Si stima che, a Lecco e dintorni, ben 4 mamme su 5, manifestino una sintomatologia ricorrente, nei mesi successivi al parto.

Dati che fanno riflettere, soprattutto se si considera che si tratta di disturbi a prima vista scollegati fra loro e che, proprio per questo, spesso rendono difficile risalire alla radice.

Eppure un fattore comune c’è ed è riconducibile proprio agli eventi che più di ogni altro determinano per il corpo profondi sconvolgimenti, che si ripercuotono su tutti gli organi e gli apparati, ovvero gravidanza e parto.

Se hai avuto un figlio negli ultimi 24 mesi, forse dovresti leggere attentamente l’elenco che segue perché, nel caso  ti riconoscessi almeno 3 dei seguenti sintomi, allora potresti rientrare anche tu in questa particolare casistica.

  • Dolore alla schiena, soprattutto nel tratto lombare
  • Diastasi addominale o lassità dell’addome
  • Cefalee
  • Dolore cervicale
  • Disturbi digestivi
  • Stipsi
  • Disturbi della minzione (incontinenza urinaria e/o difficoltà a svuotare completamente la vescica)
  • Dolore al pube
  • Varici e/o ritenzione idrica
  • Disturbi del sonno
  • Dolore durante i rapporti sessuali

Cosa sta succedendo al corpo? Come vanno interpretati questi sintomi? 

Il corpo sta mandando dei segnali che è importante non ignorare. Ce ne parla il Dr. Domenico Oliva, Ostetrico ed esperto nella riabilitazione post partum, formatore degli operatori materno-infantili.

“La gravidanza e l’evento parto determinano una serie di dissinergie, che sono la diretta conseguenza delle modificazioni posturali e funzionali che causano ripercussioni a carico di vari apparati.

Le più recenti evidenze scientifiche hanno dimostrato come siano le dissinergie del “Core” le responsabili di numerose disfunzioni del sistema osteo-muscolare, dell’apparato digerente, del circolo venoso e linfatico, dell’apparato urinario, della statica pelvica”.

Il benessere nasce dunque dal Core, ossia il complesso muscolare addomino-lombo-pelvico da cui dipende l’efficienza e l’efficacia statica e dinamica dell’intero corpo.

“Un core competente”, prosegue Dr. Oliva “garantisce le necessarie sinergie per la corretta funzionalità di tutte le parti”.

L’attenzione a questa parte del corpo, quindi, non è solo un fattore estetico ma una vera e propria questione di salute.

Mai come in questo caso, mal comune NON è mezzo gaudio: il fatto che ne soffrano in tante non significa che sia giusto così.

Non è normale soffrire di incontinenza solo perché si è diventate mamme. Non lo è nemmeno provare dolore durante un rapporto sessuale. Non bisogna rassegnarsi a soffrire di diastasi addominale. Il mal di schiena non fa parte del naturale decorso del post partum.

Se, dopo aver avuto il tuo bambino/la tua bambina non ti senti al meglio, è legittimo che tu voglia fare qualcosa.

Un dato positivo c’è. La buona notizia è che si può fare molto: i margini di recupero sono ampi e, nella maggior parte dei casi, si può aspirare ad una completa remissione dei sintomi.

“Tornare alla normalità, ripristinare l’equilibrio globale, recuperare uno stato di benessere completo non solo è possibile, oggi è finalmente un reale obiettivo di salute della medicina”, afferma il Dr. Oliva.

In che modo è possibile ripristinare la sinergia del Core e, in generale,  il proprio equilibrio e dire addio ai disturbi che ci affliggono?

“Ogni donna che ha partorito dovrebbe intanto essere sottoposta ad uno screening: una valutazione posturale e funzionale, basata il più possibile su dati oggettivi (forniti da test o da strumentazioni di precisione)”.

Solo così sarà possibile intraprendere un percorso mirato.

A Lecco, presso il Centro In Salus è disponibile uno screening gratuito di analisi del Core dopo la gravidanza, a cura di un’equipe specializzata, guidata dal Dr. Oliva.

“Nel corso della nostra esperienza ultra trentennale, abbiamo compreso che ciò che funziona di più e si rivela realmente duraturo nel tempo, è un approccio dolce e rispettoso, grazie al quale la donna può raggiungere una maggior conoscenza di sé, imparando a “rieducarsi” attraverso il movimento.

Un metodo nel quale il fattore umano è determinante e va di pari passo con le competenze tecniche.

Un sistema capace di innescare un meccanismo che porta a risultati in tempi estremamente brevi.

I risultati ottenuti ci parlano di interventi chirurgici (che inizialmente parevano inevitabili) scongiurati, dolori scomparsi, disturbi eliminati, corpi trasformati”.

Negli ultimi anni più che mai abbiamo compreso quanto sia importante la salute. Accettare compromessi sul proprio stato fisico, predispone a tutta una serie di rischi cui non ha senso esporsi, dal momento che esistono delle soluzioni semplici ed efficaci.

Diffondere la cultura della salute nel post partum è la nuova sfida, partita da Lecco, destinata a raggiungere il maggior numero di madri possibile.

I meravigliosi misteri del canale del parto

I meravigliosi misteri del canale del parto

Con il passare degli anni, la scienza ci ha offerto numerose scoperte in campo medico, aiutando le donne nonché future madri ad avere una maggiore consapevolezza del proprio corpo e del momento del parto.

La domanda che ogni donna si pone con frequenza è: come avviene il parto? Un quesito apparentemente semplice ma che nasconde nozioni di notevole importanza.

Ogni donna, a seconda della conformazione fisica, è dotata del canale del parto, in sostanza si tratta di un’escavazione attraverso cui passa il bambino durante il parto. I misteri del canale del parto sono numerosi e affascinano donne e uomini.

La maggior parte delle donne presenta nella parte superiore del canale del parto una forma ovale, al contrario la parte inferiore assume una forma ovale con una pronuncia longitudinale.

Queste specifiche indicazioni apparentemente possono sembrare superflue, in realtà, questa forma non lineare del canale del parto determina che al momento della nascita il bambino debba ruotare su se stesso, questo procedimento inevitabilmente aumenta la possibilità di complicazioni al momento della nascita.

In campo medico i pareri degli esperti hanno reso chiara l’idea che un canale del parto uniforme avrebbe potuto rendere le cose molto semplici, difatti, ciò è quanto stato affermato da Katya Stansfield specializzata in biomeccanica.

Dunque, il bambino deve compiere un’operazione di rotazione su se stesso per allineare il suo cranio con il canale del parto. Viceversa, se ciò non dovesse accadere ci sarebbe il rischio di un travaglio ostruito ma anche notevoli conseguenze sulla salute del bambino e della madre.

In materia si sono espressi anche numerosi ricercatori biologi dell’università di Vienna. Hanno dimostrato come il pavimento pelvico, situato nella parte inferiore del bacino, abbia influenzato l’evoluzione del canale del parto.

Difatti, l’autorevole studioso Philipp Mitteroecker sostiene che “l’allungamento trasversale dell’ingresso pelvico si sia evoluto a causa dei limiti sul diametro anteriore-posteriore negli esseri umani imposti dal bilanciamento della postura eretta, piuttosto che dall’efficienza della locomozione bipede”, questi elementi hanno posto le basi per un canale del parto attorcigliato.

Fonti

The evolution of pelvic canal shape and rotational birth in humans

Why do humans possess a twisted birth canal?

Malposizionamento e malpresentazione fetale

Preeclampsia: un trattamento è possibile

Preeclampsia: un trattamento è possibile

La preeclampsia è un termine sconosciuto a molti ma frequentemente pronunciato dai medici alle donne durante la fase di gravidanza. Si tratta di ua particolare forma di ipertensione che si sviluppa durante la gestazione.

Le conseguenze di questa patologia sono da non sottovalutare: potrebbe determinare un distacco della placenta con conseguente nascita prematura del bambino.

Anno dopo anno, alla continua ricerca di un trattamento efficiente per la preeclampsia, i ricercatori si ritengono oggi ottimisti, affermando che la scienza ancora una volta è quasi giunta alla scoperta degli strumenti idonei per il trattamento della preeclampsia.

Uno studio pubblicato da The BMJ, ha osservato come la somministrazione del farmaco metformina (comunemente utilizzato per il diabete) ad una gestante, possa prolungare di una settimana la gravidanza.

Statisticamente questo studio ha riscontrato un’incidenza bassa, è necessario condurre ulteriori ricerche, ma si tratta pur sempre di una valida base di partenza per il raggiungimento di risultati rivoluzionari.

La scienza però non si è fermata qui, difatti alcuni ricercatori in Sud Africa e in Australia hanno condotto uno studio su ben 1800 donne, hanno valutato attentamente se il rilascio prolungato della metformina avesse determinato un prolungamento della gravidanza di donne affette da preeclampsia pre-termine.

Dunque, al fine di sviluppare e ampliare il campo di ricerca, gli studiosi hanno ritenuto opportuno suddividere le donne in due categorie: le donne della prima categoria hanno ricevuto il farmaco a rilascio prolungato quelle della seconda categoria hanno ricevuto il farmaco ogni giorno, fino al momento del parto.

Il risultato è stato chiaro e netto: le donne appartenenti alla prima categoria hanno riscontrato un aumento della gravidanza di circa 9,6 giorni in più, al contrario, le gestanti della seconda categoria hanno registrato un aumento di 11,5 giorni in più. In entrambi casi, i parti non hanno riscontrato particolari anomalie e complicazioni.

Questo studio è stato realizzato con un fine preciso: aiutare le donne e i loro bambini. Pur essendo ben progettato purtroppo è stato condotto su donne portatrici di HIV, affette da ipertensione e da obesità.

L’interesse dei ricercatori non si ferma qui, ma possono definirsi abbastanza soddisfatti e pronti ad affrontare un nuovo studio in materia con la consapevolezza che la metformina possa realmente aiutare le donne affette da questa patologia.

Fonti

Use of metformin to prolong gestation in preterm pre-eclampsia: randomised, double blind, placebo controlled trial

Diabetes drug may help to prolong preterm pregnancies in women with pre-eclampsia

Ginecologia.it

Preeclampsia ed eclampsia

Neonati: gli incredibili effetti dell’acqua

Neonati: gli incredibili effetti dell’acqua

I neonati provengono da un ambiente che si potrebbe definire acquatico e questa impronta sensoriale rimane solida per i primi mesi nella loro percezione. L’acquaticità offre gradi vantaggi per lo sviluppo

Spesso i bambini in età scolare hanno paura dell’acqua e di affrontare mere e piscina, ma se si comincia sin dai primi mesi a farli familiarizzare con questo mezzo è tutto più facile e naturale: le paure scompaiono e, con esse, i rischi di annegamento, anche in età adulta.

Per i bambini che hanno frequentato corsi in piscina fra 1 e 4 anni il rischio scende dell’88%: questo in base ad uno studio recente; mentre in base ad un’indagine analoga svoltasi in Cina, si parlerebbe solo del 40%; in ogni caso sono dati confortanti

I corsi di solito partono dai 4 mesi e vanno avanti fino ai 3 anni per insegnare tecniche natatorie e per aiutare i genitori a sviluppare un rapporto fisico coi figli in questo mezzo, ma anche fuori, con attrezzi galleggianti, ma anche soltanto stando insieme in vasca.

Tra i vari stimoli motori, il cross patterning laterale, per costruire legami neuronali legati al coordinamento, che aiutano nella lettura, nel linguaggio e nella consapevolezza spaziale.

Secondo uno studio della Griffith university australiana i bambini fra i 3 e i 5 anni che hanno fatto corsi in acqua hanno uno sviluppo verbale anticipato di 11 mesi rispetto ai coetanei, 17 per la memoria e 20 per l’orientamento spaziale.

Inoltre i bambini che hanno seguito i corsi, con o senza genitori, hanno meno difficoltà ad adattarsi a nuovi ambienti e situazioni, imparando a interagire meglio con oggetti sconosciuti o la cui forma appaia poco correlata con la funzione.

Fonti

“The Early Years Swimming Project”

Association between swimming lessons and drowning in childhood: a case-control study

Children’s Health Team. (2017). Kids can drown even after leaving the pool: Here’s how to avoid it.

Delayed symptoms of drowning: Know the signs. (2015).

Università dell’acqua

Bambini ed emicrania: il ruolo dell’alimentazione

Bambini ed emicrania: il ruolo dell’alimentazione

Dagli studi risulta che il 10% dei bambini anche in età prescolare soffre di frequenti problemi di emicrania, spesso molto grave, vista la giovane età.

Tra le cause più importanti quelle di origine alimentare, come hanno stabilito i ricercatori dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù con uno studio del Dipartimento di Neuroscienze, pubblicando i risultati sulla rivista Nutritens.

I casi di emicrania nei bambini nel 5% dei casi rischiano di diventare cronici e impattare sulle attività sportive ludiche e scolastiche. In molti casi può avere un’origine genetica, con cause scatenanti che possono influenzare intensità e frequenza, come lo stress e la depressione.

Spesso si tratta di situazioni tese di origine familiare che portano all’ansia nei più piccoli e per alcuni alimenti, on-line si trovano falsi miti come quelli sui dolcificanti artificiali, il glutine, il glutammato di sodio, oltre che cioccolato e nitriti presenti negli insaccati.

Dallo studio non risulta esserci una correlazione diretta con questi alimenti, anche per dosaggi relativamente elevati e per i dolcificanti non ci sono dati. Alcune informazioni sono state correlate con caffeina e alcool, ma queste sostanze non sono presenti in quantità apprezzabili nella dieta di un pubblico di età pediatrica.

Bisogna considerare però che alcune componenti analoghe e in particolare tracce di caffeina sono presenti in molte bevande gassate, m non è il caso di rimuovere tout-court un alimento se prima non è stato fatto uno studio di correlazione.

Tra i test da effettuare ci sono le intolleranze per glutine, nichel, pomodoro, nocciole, arachidi, lattosio ed altri allergeni noti e che spesso sono parte degli alimenti sospetti, presenti anche in tracce, ma che per organismi sensibili come quelli dei bambini possono farsi sentire.

Inoltre l’obesità sembra essere un elemento molto influente. Nel 65% dei bambini e sovrappeso causa spesso attacchi di emicrania. In molti casi poi si provvede a utilizzare rimedi nutraceutici a base di magnesio o partenio, ma non ci sono evidenze scientifiche sull’effettivo funzionamento per i pazienti più piccoli.

In ogni caso bisogna valutare insieme al pediatra eventuali rischi di interazione con altri fattori, che potrebbero aggravare la situazione invece che migliorarla.

Fonti:

Truths and Myths in Pediatric Migraine and Nutrition

Bambini ed emicrania: non esistono cibi vietati, neanche il cioccolato. Ma attenzione al sovrappeso.

Il bambino con cefalea acuta: istruzioni per l’uso

Il latte materno è come un vaccino

Il latte materno è come un vaccino

L’analisi di innumerevoli casi, nel corso degli ultimi due anni segnati dalla pandemia da Covid 19, ha dimostrato che il virus non si trasmette dalle madri positive ai neonati.

I bambini hanno, dunque, delle difese immunitarie che li proteggono dal contagio. Ma quale meccanismo si innesca perché tali difese si attivino?

La risposta a questo interrogativo potrebbe essere emersa da una recentissima ricerca dell’Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, condotta in collaborazione con il Politecnico Umberto I, i cui risultati, pubblicati sulla rivista scientifica JAMA Network Open, evidenziano il ruolo cruciale del latte materno nella formazione delle difese immunitarie dei bambini contro il Covid.

Lo studio ha esaminato 28 neomamme, non vaccinate e positive al Coronavirus, nel periodo in cui si avvicinavano al parto, e i loro bambini nati tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021.

Attraverso la placenta, le madri trasferiscono ai neonati i propri anticorpi di tipo IgG (le cosiddette immunoglobuline), sviluppatisi a seguito di proprie infezioni o precedenti vaccinazioni.

Tramite il latte materno, la madre trasferisce anche gli anticorpi IgA, noti anche come mucosali (perché si formano nelle mucose materne) e proteggono il neonato da raffreddore e influenza.

La ricerca del Bambin Gesù si è basata sull’esame della presenza di anticorpi IgG e IgA contro il Covid19 nel sangue e nel latte delle madri e nel sangue e nella saliva dei loro bambini. Gli esami sono iniziati a solo due giorni da parto e sono continuati per due mesi.

Si è scoperto che le immunoglobuline, a due giorni dal parto, erano presenti nel latte materno, ma non nel sangue delle madri, a riprova del fatto che la reazione delle mucose è immediata e veloce a differenza della risposta sistemica del corpo umano.

Nel sangue dei neonati gli anticorpi contro il SARS COV 2 non sono stati rilevati né nei due giorni successivi al parto, né dopo i due mesi. Essendone, infatti, priva al momento del parto, la madre non poteva trasmetterle al bambino tramite la placenta.

Sorprendentemente, nella saliva dei neonati, invece, gli anticorpi contro il covid sono stati rilevati sia dopo 48 ore, sia dopo due mesi dal parto.

La dottoressa Rita Carsetti, responsabile di Diagnostica di Immunologia al Bambino Gesù, spiega che le immunoglobuline delle madri infettate, combinate con la proteina “Spike” del virus, costituiscono un “immuno-complesso”, una particolare molecola che si trasferisce ai bambini con il latte materno stimolando la produzione di anticorpi contro il covid.

È come se il latte materno avesse svolto nei confronti dei bambini appena nati la funzione di un vaccino naturale, aiutandoli a produrre in modo autonomo le proprie difese immunitarie, oltre che a proteggerli passivamente dal contagio.

Fonti:

BAMBINO GESU’: Comunicato stampa del 5/11/2021

Il latte materno stimola le difese anti Covid-19 dei neonati

Post parto: ma perché quella pancia?

Post parto: ma perché quella pancia?

La gravidanza tende a sbilanciare drasticamente la forma del tronco: tutte le strutture, compresi i muscoli e le articolazioni, si tendono, infatti, per l’espansione dell’utero che accoglie il feto. Dalla ventesima settimana, le due fasce dei muscoli addominali retti si separano per fare spazio al bambino.

Il risultato è la cosiddetta diastasi recti (separazione addominale) con conseguente riduzione delle normali funzionalità degli stessi muscoli.

Si è ritenuto che a determinare la diastasi dei retti fossero specifiche condizioni, quali l’eccesso di peso della madre e del bambino. Una ricerca del 2015 ha smentito, però, la connessione tra la separazione dei muscoli addominali e fattori esterni. Il fenomeno è, in realtà, molto comune e colpisce oltre il 50% delle donne incinte.

I sintomi più comuni della diastasi recti includono: sensazione di gonfiore e crampi allo stomaco, male alla schiena nella parte lombare, stipsi e incontinenza. In alcuni casi si rilevano difficoltà respiratorie e digestive.

Durante la gravidanza, possono non manifestarsi sintomi evidenti. Nel secondo o terzo trimestre, si può notare un rigonfiamento sulla pancia, sopra e sotto l’ombelico, più evidente quando si usano i muscoli addominali per alzarsi, sedersi o sdraiarsi.

Se si avvertono intense sintomatologie dolorose all’addome, al bacino o alla schiena, è necessario rivolgersi immediatamente al medico.

Dopo il parto, il sintomo più evidente è un gonfiore persistente sull’addome, quasi come se il bambino non fosse ancora nato. La diagnosi della diastasi dei retti parte da una procedura che si può compiere anche da sole: ci si sdraia sulla schiena con le gambe flesse e i piedi appoggiati a terra; a questo punto si devono sollevare le spalle sorreggendo la testa con una mano. Con la mano libera si ispeziona l’addome, sopra e sotto l’ombelico, tastando le fasce muscolari.

È in corso la diastasi dei retti se si avverte, in alcuni casi non solo con il tatto ma anche a vista, un vuoto evidente tra i muscoli addominali.

Man mano che questi riacquistano forza e ciò avviene regolarmente dopo diverse settimane dal parto, il divario tra le due fasce muscolari inizierà a ridursi naturalmente. Il medico può confermare la diagnosi di diastasi dei retti con l’ecografia che fornisce, ovviamente, una misurazione più accurata dell’anomalia.

Per favorire la riduzione della diastasi è necessario:

  • Evitare di sollevare pesi
  • Evitare esercizi fisici che determinano iperpressione addominale.
  • Mantenere una postura corretta soprattutto durante l’impegno fisico
  • Regolarizzare l’intestino
  • Ridurre la tosse e controllare l’addome durante per evitare di “spanciare”.

Fonti

Diastasis recti.

Diastasis recti: Not just for newborns and pregnant women.

Rectus abdominis diastasis. DOI

Prevalence and risk factors of diastasis recti abdominis from late pregnancy to 6 months postpartum, and relationship with lumbo-pelvic pain. DOI

Pregnancy related abdominal diastasis: Patient information. (2017).

Diastasis recti abdominis during pregnancy and 12 months after childbirth: Prevalence, risk factors and report of lumbopelvic pain. DOI

Sbalzi d’umore in gravidanza

Sbalzi d’umore in gravidanza

Gli sbalzi d’umore durante la gravidanza sono causati da una varietà di fattori, tra cui le variazioni ormonali, i disagi fisici e le normalissime preoccupazioni per l’imminente cambiamento di vita dovuto all’arrivo del bambino.

Durante la gestazione gli ormoni, in particolare estrogeno e progesterone, cambiano, infatti, molto rapidamente: basti pensare che durante le prime 12 settimane di gravidanza aumentano di oltre 100 volte. L’estrogeno è associato alla serotonina, il cosiddetto ormone della felicità: squilibri e fluttuazioni in questo neurotrasmettitore possono causare un notevole squilibrio emotivo.

Il modo esatto in cui gli estrogeni e la serotonina interagiscono tra loro non è ancora completamente noto. Ciò che sembra essere evidente è che i cambiamenti nei livelli di estrogeni causano ansia e irritabilità.

Anche il progesterone aumenta rapidamente durante la gravidanza, soprattutto durante i primi tre mesi. Mentre l’estrogeno è solitamente associato all’energia, il progesterone è associato al rilassamento. In effetti, il progesterone durante la gravidanza fa rilassare i muscoli per prevenire contrazioni premature dell’utero. In alcune donne, l’eccessivo rilassamento si traduce in stanchezza e persino tristezza.

I disagi fisici della gravidanza possono causare un profondo disagio emotivo. È il caso della nausea mattutina che scatena l’incertezza e l’ansia delle gestanti. Lo stress di sentirsi praticamente ostaggio della possibile nausea può essere molto intenso influendo negativamente sull’umore.

L’affaticamento del primo trimestre o la privazione del sonno in tarda gravidanza possono incrementare ulteriormente la volubilità della gestante.

Durante il secondo trimestre in cui l’aumento degli ormoni rallenta, la maggior parte delle donne si sente più energica e non ha più la nausea mattutina, o almeno non in forma grave. A scatenare gli sbalzi d’umore in questa fase sono i cambiamenti fisici: il corpo della donna comincia a cambiare forma e molte non vivono le modifiche con serenità.

Anche i test prenatali durante il secondo trimestre possono causare stress emotivo. L’amniocentesi, quando raccomandata, viene solitamente eseguita all’inizio del secondo trimestre. Decidere se sottoporsi o meno ai test prenatali e l’ansia per i risultati possono causare stress emotivo e conseguente umore instabile.

Cambi improvvisi di umore possono costituire un segnale di gravidanza in atto anche se, in effetti, molte donne sperimentano sbalzi simili prima dell’arrivo del ciclo: se si sospetta di essere incinta, un test servirà a sciogliere tutti i dubbi.

Fonti

Correlation between postpartum depression and premenstrual dysphoric disorder: Single center study.

Predictors of pregnancy-related emotions

Vita da Neomamma: quello che nessuno ti aveva detto prima

Vita da Neomamma: quello che nessuno ti aveva detto prima

La nascita di un bambino sconvolge inevitabilmente ritmi e orari di tutta la famiglia e, in particolare, della neo mamma che, dopo i lunghi nove mesi di gravidanza, si trova ad affrontare una vita completamente diversa, una vita nuova di cui, se è al primo figlio, sa molto poco. La mancanza di esperienza causa ansia e preoccupazione nonostante la felicità per l’arrivo del neonato.

Nelle settimane subito dopo il parto, gli ormoni, aumentati durante la gestazione, continuano a produrre i loro prodigiosi effetti regalando alle neo mamme energie straordinarie che consentono loro di adattarsi alla nuova routine e, allo stesso tempo, lunghi momenti di sconforto e tristezza difficili da gestire. Le prime sei settimane con un neonato sono una serie infinita di continui alti e bassi per qualsiasi genitore: alti e bassi importanti e intensi che lasciano il segno per sempre.

Il primo scoglio è alimentare il piccolo. Allattare al seno, per quanto naturale, non è così facile come sembra. Alcune donne fanno fatica le prime volte, tendono ad irrigidirsi appena il bambino apre la bocca e rendono l’operazione snervante e logorante.

Nonostante gli ormoni e l’eccesso di adrenalina dovuto al cambiamento tanto atteso, la stanchezza e la privazione del sonno, inevitabile per le poppate, si fanno sentire. Il poco sonno sembra quasi rubato alla cura del neonato e privato per questo dell’innato effetto ristoratore.

Tutto ciò che riguarda il bambino si trasforma in un evento straordinario che provoca agitazione. È il caso del primo bagnetto con l’ansia per la temperatura giusta dell’acqua e per la paura di far scivolare il piccolo.

Abituarsi alla cura del neonato è impresa ardua. Su tutto emerge il fatto che il tempo non appartiene più alla mamma, ma è scandito dai bisogni e dagli orari del bambino. Può aiutare, in alcuni casi, frequentare un gruppo di neomamme per rendersi conto di non essere le sole a sentire il peso del cambiamento.

Dopo un po’, si instaura, comunque, una nuova normalità, con rituali ben definiti che regalano alla neomamma serenità e la sensazione di riappropriarsi del controllo della propria vita che sembrava smarrito subito dopo il parto.

Le prime settimane dopo la nascita del bambino sono sicuramente un periodo estenuante e sconvolgente, ma tutto si ricompone, secondo un ordine nuovo, dopo poco tempo. Le incombenze quotidiane, il sonno perso, la stanchezza sono ripagate dai versetti teneri del bimbo, dalle sue smorfiette, dagli odori dolci e, dopo qualche settimana, dai primi sorrisi.

Fonti

A Day in the Life of a New Mom

‘What do new mothers do all day?’

What Life as a New Mom Is Really Like

I neonati possono essere anemici?

I neonati possono essere anemici?

Sono sempre più numerosi i neonati che soffrono di anemia, una patologia che causa un forte pallore della pelle e delle mucose, stanchezza e fragilità. Nonostante possa suscitare molte perplessità e qualche paura nei genitori, non è il caso di allarmarsi. Basta seguire le indicazioni del proprio pediatra per risolvere al più presto la situazione senza nessuna conseguenza.

Si parla di anemia nel neonato quando il livello di emoglobina del bambino è basso. Durante la gravidanza, il piccolo accumula un discreto quantitativo di riserve di ferro. Dopo il parto, queste riserve tendono a diminuire fino a esaurirsi completamente entro i 6 mesi di vita, soprattutto se il neonato è allattato esclusivamente al seno.

Se l’alimentazione non compensa questa improvvisa carenza, il rischio è che il neonato diventi anemico. Il latte materno infatti da solo non riesce a coprire il fabbisogno nutrizionale del piccolo e il rischio è quello di andare incontro a eventuali carenze.

Non sottovalutiamo il ruolo del latte vaccino nel periodo successivo ai 12 mesi, quando cioè prosegue la fase dello svezzamento. Questo alimento non solo è povero di ferro ma di fatto ne ostacola l’assorbimento.

A volte invece si registra la presenza di anemie emorragiche, dovute al passaggio anomalo di sangue tra la madre e il feto, oppure questa patologia può essere causata da alcuni farmaci assunti dalla madre o da una dieta non equilibrata e carente in acido folico e ferro.

I sintomi nel neonato sono molto specifici. Il piccolo appare pallido, privo di energia e stanco, è soggetto a frequenti infezioni soprattutto respiratorie, ha poco appetito e l’accrescimento è scarso.

In presenza di queste segnali è necessario consultare il pediatra di fiducia che valuterà con calma i sintomi, la storia clinica del neonato e prescriverà una serie di semplici esami come la sideremia, l’emocromo e la ferritinemia. Queste analisi sono necessarie per verificare gli effettivi livelli di ferro nel sangue e la quantità di globuli rossi.

Cosa succede se il piccolo dovesse risultare effettivamente anemico? In questo caso il pediatra presterà particolare attenzione all’alimentazione, prescrivendo l’utilizzo di un latte di crescita in sostituzione del vaccino se il bambino non è allattato al seno o, se il bimbo è nella fase dello svezzamento, incoraggerà i genitori a fornire al piccolo, attraverso il cibo, i nutrienti che gli occorrono per stare bene.

Se questi accorgimenti dietetici non dovessero bastare, il pediatra può valutare l’inserimento di un integratore di ferro in fiale e gocce. Basta seguire queste semplici ma efficaci indicazioni per risolvere nel giro di pochi mesi l’anemia del neonato.

Fonti

Pathophysiology of Anemia During the Neonatal Period, Including Anemia of Prematurity

Diagnosis and prevention of iron deficiency and iron-deficiency anemia in infants and young children (0–3 years of age)

Gravidanza e smagliature

Gravidanza e smagliature

Ancora prima di rimanere incinta, le donne hanno spesso il terrore delle smagliature provocate dalla gravidanza e dal parto di cui sono quasi diventate sinonimo, al pari delle fastidiose nausee mattutine.

Il timore è, purtroppo, giustificato: il 90% delle donne in attesa presenta, infatti, smagliature, più o meno evidenti, entro il terzo trimestre di gestazione, solitamente intorno all’ombelico, sui glutei, sul seno e sulle cosce.

Le smagliature della gravidanza, scientificamente denominate striae gravidarum, sono fondamentalmente un tipo di cicatrici: striature frastagliate della pelle che assumono intensità e colorazioni differenti (rosa, rossi, nero, blu o viola) a secondo della parte del corpo in cui si formano e della loro età.

Appena comparse, le smagliature sembrano quasi in rilievo. Con il passare del tempo, al tatto, diventano assolutamente impercettibili. Le smagliature si producono quando la pelle subisce allungamenti repentini che lacerano gli elementi di sostegno degli strati superficiali dell’epidermide, formando, appunto, una cicatrice.

Una ricerca risalente al 2013 ha ipotizzato una inclinazione genetica alla formazione delle smagliature che, quindi, potrebbero essere addirittura ereditarie, tramandandosi, sfortunatamente, di madre in figlia. Anche l’uso di cortisone, ormone che rende la pelle meno elastica e la cui produzione avviene nelle ghiandole surrenali, potrebbe favorire l’insorgere delle smagliature.

La ricerca suggerisce che durante la gravidanza è più probabile che si formino smagliature nelle donne giovani e in quelle in cui si registra un aumento di peso più rapido della media. Alcune smagliature, purtroppo, sono permanenti, altre svaniscono naturalmente dopo la nascita del bambino. Esistono, comunque, trattamenti che, se iniziati precocemente, riescono a renderle meno evidenti.

Sulle smagliature si può intervenire con moderne tecniche i cui risultati sono molto soggettivi:

  • Peeling chimici: sono tecniche di esfoliazione della pelle con sostanze chimiche come l’acido glicolico.
  • Laserterapia: trattamento che riduce la gravità delle smagliature avvalendosi del laser.
  • Microdermoabrasione: esfoliazione con sostanze leggermente abrasive tipo i cristalli di corindone.
  • Microneedling o micro perforazione con aghi sottilissimi.
  • Radiofrequenza: tecnica che agisce riscaldando gli strati meno superficiali dell’epidermide per attivare la produzione di collagene.

Un cenno doveroso merita l’applicazione sulle smagliature di creme (con acido ialuronico, burro di cacao, vitamina E, olio di oliva e mandorle): pur non esistendo concrete evidenze scientifiche che ne provino l’efficacia, avendo proprietà emollienti, usarle non peggiorerà certamente la condizione delle smagliature. Anzi, migliorando il tono generale della pelle possono concorrere a renderle meno visibili.

Fonti

Striae gravidarum: Risk factors, prevention, and management.

Treatment of striae distensae with needling therapy versus microdermabrasion with sonophoresis.

Skin conditions during pregnancy

Genome-wide association analysis implicates elastic microfibrils in the development of nonsyndromic striae distensae.

Management of stretch marks (with a focus on striae rubrae).

Intrattenere un neonato giocando

Intrattenere un neonato giocando

Gioco e neonato sembrano due concetti antitetici perché siamo convinti che il bimbo sia troppo piccolo per sperimentare un’attività ludica finalizzata all’apprendimento.

In realtà le cose non stanno così: la mente e il corpo del bambino si stanno sviluppando velocemente e in modo sorprendente. Durante il primo mese di vita il piccolo apprende e impara grazie all’interazione con i genitori. Ma come si fa a giocare con un neonato?

Durante il primo mese di vita, la pancia di mamma e papà è più interessante e stimolante di un parco giochi. Gli esperti consigliano infatti di mettere il bambino sulla pancia, quando è sveglio, più volte al giorno. Il focus di questa coccola-esercizio è aiutarlo a sviluppare le prime capacità motorie che coinvolgono anche la testa.

E se il bimbo non ama questa posizione? L’alternativa è sdraiarlo accanto a voi su un pavimento, incoraggiandolo a sollevare la testa con l’ausilio di un asciugamano morbido da mettere sotto il suo corpo per agevolarne i movimenti.

Il bambino alla nascita è dotato di alcuni riflessi involontari che gli garantiscono senza dubbio la sopravvivenza ma non dobbiamo sottovalutare la loro importanza in termini di interazione con il mondo esterno.

Se proviamo a toccargli una guancia appena nato, il piccolo si girerà istintivamente verso quel lato, pronto a nutrirsi: è un semplice riflesso, chiamato di radicazione. Se invece stimoliamo il piccolo con il gioco, nel giro di 3/4 settimane, inizierà a girarsi non per un semplice riflesso ma perché avrà imparato che in quella direzione trova del cibo. È una piccola conquista a metà strada tra l’orientamento temporale e la consapevolezza.

Non sottovalutiamo l’importanza del linguaggio, anche se ci può sembrare prematuro nei primi mesi di vita. In realtà i piccoli iniziano a collegare il suono della voce al volto ed è proprio quel suono che li spinge a essere più attivi e vigili. Non ha importanza quello che diciamo ma il modo.

Parliamo di qualsiasi cosa ma cerchiamo di intrattenerlo il più possibile con la nostra voce: il piccolo ascolta, collega e impara. Sotto questa ottica anche cantare diventa uno strumento indispensabile perché crea un apprendimento rapido e piacevole. Il bambino, grazie a questi piccoli gesti, impara a sua volta a comunicare.

Nei primi mesi di vita è necessario fornire al neonato una stimolazione che passa attraverso l’utilizzo di piccoli sonagli, giocattoli musicali o tramite la lettura di un libro colorato, uno strumento ideale per continuare a far sentire la nostra voce al bambino, modulando anche il tono e l’intensità.

Fonti

Learning, Play, and Your Newborn

Am I Doing Enough With My Newborn?

Telepediatria: la nuova frontiera delle cure per la prima infanzia

Telepediatria: la nuova frontiera delle cure per la prima infanzia

Le prime esperienze di telemedicina risalgono addirittura agli inizi del Novecento, ma è con la pandemia di questo periodo che si è scoperta davvero l’importanza e la potenzialità di questa speciale disciplina. E non poteva di certo mancare, tra le varie specializzazioni, anche quella pediatrica.

Facciamo, innanzitutto, un po’ di chiarezza. La telepediatria è la possibilità di condividere dati clinici e medici anche a grande distanza per migliorare la condizione di salute dei pazienti che, in questo caso, sono dei bambini e dei ragazzi. Per fare tutto ciò si ricorre all’utilizzo delle più moderne vie di telecomunicazione.

Sicuramente c’è una vena di scetticismo da parte di molte persone nei confronti di questa particolare pratica medica e sicuramente è impensabile credere di eliminare in tutto e per tutto la medicina tradizionale con questa più innovativa.

Non si può però negare che la telepediatria può portare a numerosi vantaggi e risolvere anche grossi problemi. Riesce, ad esempio, a ridurre notevolmente i tempi di intervento e a creare una fitta rete capillare di screening. Riesce, poi, a facilitare il consulto e lo scambio di informazioni tra professionisti presenti in luoghi differenti e di rilevare i dati clinici dei pazienti direttamente dalle loro abitazioni.

Naturalmente, per riuscire a creare un servizio di qualità ed efficiente è fondamentale l’attività di organizzazione di base, una corretta formazione di tutti i professionisti sanitari coinvolti, ma anche dei piccoli pazienti e delle loro famiglie.

Un errore da non commettere, però, è quello di credere che la telepediatria sia uno strumento da utilizzare in caso di emergenza e difficoltà, proprio come è avvenuto di recente con la pandemia. Anzi, questa pratica medica deve diventare parte della routine e della quotidianità.

Molti genitori obiettano, però, che questo tipo di medicina a lungo andare elimina il rapporto tra il paziente e il medico che, ancor più nel caso dei bambini, è fondamentale. In realtà non è così, anzi se la telepediatria viene organizzata e gestita in maniera corretta e funzionale, la relazione tra professionista sanitario e interlocutore può diventare ancora più stretta perché è molto più rapida, quasi immediata e possibile praticamente in qualsiasi momento e luogo.

Nel caso particolare, poi, del paziente pediatrico, può essere notevolmente ridotto il senso di paura nei confronti del ‘camice bianco’ e può essere quasi fatta vivere al piccolo come un gioco.
Purtroppo ad oggi, però, non esiste ancora una normativa precisa e specifica che regolamenti l’attività di telemedicina e telepediatria.

Fonti

Perché la Pediatria deve pensare alla telemedicina

Prove tecniche di telepediatria

ISS: Telepediatria, raccomandazioni e indicazioni su come gestire il paziente pediatrico con l’ausilio della medicina online

La telepediatria: prime indicazioni operative dagli USA

Sei incinta? Controlla il colesterolo

Sei incinta? Controlla il colesterolo

Durante la gravidanza, si verifica un aumento naturale dei tassi di colesterolo nel sangue delle madri. Il colesterolo è, infatti, indispensabile allo sviluppo cerebrale del feto e, inoltre, riveste un ruolo fondamentale nella produzione degli ormoni steroidei, estrogeni e progesterone, che svolgono un ruolo chiave per il buon esito della gestazione.

I livelli di colesterolo cominciano a aumentare nel secondo trimestre di gravidanza, raggiungono un picco durante il terzo e in genere tornano alla normalità circa quattro settimane dopo il parto.

Nella maggior parte dei casi, il colesterolo alto nelle donne in gravidanza non viene trattato, a meno che non vi siano elevate probabilità di rischio cardiovascolare. Il colesterolo alto durante la gravidanza può aggravare l’ipertensione indotta dalla gravidanza stessa, minacciando la vita sia della madre che del bambino. Anche il colesterolo basso può avere conseguenze negative (travaglio anticipato, bambino sottopeso al momento del parto).

L’uso delle statine, prescritte in condizioni normali per abbassare i livelli di colesterolo, è sconsigliato in gravidanza. Per tenere sotto controllo il colesterolo durante la gravidanza è necessario ricorrere a metodi naturali: seguire una dieta equilibrata con frutta, verdura e fibre; evitare i grassi saturi; fare esercizio fisico.

Uno studio pubblicato di recente sull’European Journal of Preventive Cardiology ha individuato una correlazione diretta tra il colesterolo alto delle madri in gravidanza e possibili patologie cardiache dei figli. La ricerca, guidata dal professor Cacciatore dell’Università di Napoli Federico II, ha, però, una portata limitata per la scarsità dei dati a disposizione.

Il colesterolo, infatti, non viene monitorato costantemente nella routine di controlli a cui vengono sottoposte le donne incinte. Di conseguenza mancano informazioni relative alla correlazione con la salute dei figli.

Se confermata, l’ipotesi suggerita dalla ricerca del prof. Cacciatore, potrebbe avere implicazioni importanti a livello preventivo. L’aumento del colesterolo costituirebbe un pericoloso campanello d’allarme da tenere sotto controllo per impedire conseguenze sulla salute cardiaca dei figli. Inoltre, indurrebbe a tenere alta l’attenzione sui bambini pianificando regimi dietetici e attività fisiche atte a ridurre i rischi cardiaci.

Dei 310 pazienti che sono stati esaminati in un arco temporale di trent’anni (tra il 1991 e il 2019) 89 erano reduci da infarto. Di questi, oltre l’ottanta per cento erano uomini con un’età media di 47 anni. I pazienti sono stati classificati in base alla gravità dell’infarto.

Sono stati esaminati i dati sul livello di colesterolo delle madri di tutti i pazienti durante la gestazione. Al netto della considerazione degli altri fattori di rischio (condizioni anagrafiche, eccesso di peso, abitudini scorrette, pressione alta, precedenti familiari, diabete, patologie cardiache in atto o pregresse), il livello alto di colesterolo delle madri è risultato proporzionalmente collegato alla gravità dell’infarto.

Fonte

Maternal hypercholesterolaemia during pregnancy affects severity of myocardial infarction in young adults.

Lista nascita consapevole: cosa serve realmente al neonato?

Lista nascita consapevole: cosa serve realmente al neonato?

Negli ultimi anni si stanno diffondendo sempre più le liste nascita, del tutto paragonabili alle più conosciute liste nozze. Si tratta di veri e propri elenchi di oggetti e articoli di vario tipo che i neo genitori preparano presso un negozio o in un sito internet perché amici e parenti possano fare un regalo al bimbo che arriverà.

Non è così semplice, però, decidere quali prodotti scegliere perché il marketing e la pubblicità troppo spesso influenzano in maniera eccessiva la nostra vita di tutti i giorni. Anche l’ansia, l’inesperienza e la paura di non dare al proprio bambino il meglio possono essere determinanti.

Se ci pensiamo bene, in fin dei conti, un neonato ha ben pochi bisogni, e tutti primari, perciò il suo corredino non dovrebbe essere così difficile da costruire.

Ecco perché la prima regola che si deve tenere ben presente è il non farsi prendere dal consumismo e dalla moda. Un’altra norma da mantenere ben presente è quella di non farsi prendere dalla frenesia di voler acquistare tutto e subito ancora prima che il bebè sia arrivato al mondo. C’è sempre tempo per farlo, anche dopo il suo arrivo, mano a mano che crescerà e si presenteranno le varie necessità. Non ha senso, quindi, preparare delle liste nascita di lunghezza infinita.

Un esempio per capire: alcuni negozi arrivano a proporre dei veri e propri cataloghi regalo con quasi 100 articoli!
I bambini sono tutti diversi, così come anche le mamme e le famiglie lo sono perciò non ha senso riempire le case di oggetti che magari non serviranno mai.

Facciamo ancora una volta qualche esempio per capire meglio. Non è sensato acquistare un passeggino super costoso pensando che il bimbo ci passerà moltissime ore, se poi, invece, scopriamo che è più comodo per noi e per lui essere trasportato in un pratico e comodo marsupio. Allo stesso modo, non ha nessuna importanza acquistare un tiralatte, se non occorrerà mai fare scorte di latte materno.
Tutto questo, poi, non vale solo per i neonati, ma anche per i bimbi più grandini.

Cosa acquistare allora?
Gli articoli fondamentali, quindi sono davvero pochi: alcune tutine (ma attenzione a non esagerare perché i neonati crescono così in fretta!) e della biancheria intima, tanti bavaglini, pannolini (magari lavabili), delle salviettine, il necessario per il bagnetto, il seggiolino per l’auto, la carrozzina, la culla corredata da lenzuolini e copertine, e ben poco altro.

Fonte

Bebè a costo zero. Guida al consumo critico per accogliere e accudire al meglio il nostro bambino

L’infanzia dell’era del consumo

Altroconsumo

Probiotici e depressione post partum

Probiotici e depressione post partum

Il 13% delle neomamme è vittima di depressione postpartum: una condizione patologica grave, ma fortunatamente curabile, che provoca alterazioni dell’umore, tristezza, senso di indifferenza e ansia, oltre che anomalie del sonno e dell’appetito, con conseguenze importanti sul benessere psicologico e fisico del bambino e della madre.

La gravidanza e il periodo immediatamente successivo al parto possono essere causa di particolare vulnerabilità per molte donne. Le madri, durante questo delicato periodo, spesso, sperimentano enormi cambiamenti biologici, emotivi e sociali che sconvolgono il loro equilibrio. Per alcune di esse, il rischio di incorrere in problemi di salute mentale, in particolare ansia e depressione, è, quindi, particolarmente alto.

Alcune di esse sperimentano soltanto condizioni depressive di breve durata e lieve entità che non interferiscono con le attività quotidiane e non richiedono cure mediche.
In alcuni casi estremi la madre arriva, invece, a rifiutare il bambino con un conseguente, insopportabile e dannoso, senso di colpa.

Si è ipotizzato che a causare la depressione postpartum possano essere delle anomalie del microbiota, vale a dire della popolazione di microbi che vive in simbiosi con l’organismo umano e che include batteri, funghi e virus.

La tesi sarebbe confortata dagli esiti di una ricerca recente secondo cui la somministrazione di antibiotici durante il parto sarebbe una delle cause della depressione postpartum. Si è riscontrato, più precisamente, che la profilassi antibiotica somministrata per scongiurare il rischio di infezioni durante il parto possa indurre, nel mese successivo, alterazioni dell’equilibrio psicofisico della neomamma.

Di contro, la somministrazione di probiotici dovrebbe sortire l’effetto opposto: limitare, cioè l’insorgere della depressione postpartum.

In questa direzione, uno studio australiano del 2015, ha esaminato la relazione tra l’integrazione di probiotici (Lactobacillus rhamnosus HN001), dall’inizio della gravidanza fino a 6 mesi dopo il parto in caso di allattamento, e i sintomi postnatali di depressione e ansia.

Alla ricerca hanno partecipato 380 donne sane distinte in due gruppi: al primo è stata somministrata l’integrazione di probiotici, al secondo è stato somministrato, invece un placebo. Le madri nel gruppo di trattamento probiotico hanno riportato livelli di depressione e ansia significativamente più bassi rispetto a quelli del gruppo placebo.

Si rileva, nell’uno e nell’altro studio, l’importanza che rivestirebbe l’asse intestino cervello nell’insorgere della depressione postpartum. Entrambe le ricerche, richiedono, comunque ulteriori verifiche che comprovino gli effetti predittivi della profilassi antibiotica sulla stessa depressione post partum e l’attenuarsi degli stessi con l’integrazione probiotica.

Fonte:

l microbiota nel postpartum, in “Microbioma e Microbiota, Ricerca e Clinica n. 2/2018

Storie di nascita: raccontare il parto con la medicina narrativa

Storie di nascita: raccontare il parto con la medicina narrativa

I termini medicina narrativa non sono conosciuti dalla maggior parte delle persone anche se il loro significato è abbastanza intuitivo.

Si tratta, infatti, di una metodologia di intervento terapico-assistenziale che avviene tramite la narrazione dei diversi punti di vista dell’esperienza che si sta vivendo. La narrazione di se stessi e di quello che si sta passando non viene, però, effettuata solo da parte della futura madre, ma anche dal personale sanitario coinvolto, dal futuro padre e dalla famiglia.

Questa tipologia di pratica viene ormai utilizzata per tantissime condizioni e patologie, come ad esempio il cancro e la sclerosi multipla e tra queste vi è anche il momento tanto bello, quanto doloroso e sconvolgente del parto.

In ogni caso, i benefici che se ne possono trarre vanno a volte anche al di là di ogni aspettativa e riguardano tutti i soggetti che, con ruoli diversi, sono coinvolti nella terapia.

Medici, infermieri ed ostetriche, ad esempio, tramite la narrazione possono portare fuori tutte le loro ansie, paure difficoltà e senso di responsabilità e sicuramente anche il lavoro di squadra ne troverà giovamento.

Per la futura mamma e il papà poter esprimere tutte le preoccupazioni, i timori e le perplessità può essere fondamentale per vivere il parto, ma anche tutti i momenti che lo precedono e lo seguono, in maniera più consapevole.

Avvicinandosi alla fatidica data, infatti, è normale farsi prendere dall’agitazione, quando invece sarebbe molto più costruttivo essere razionali e pacati.

A parole può sembrare facile, ma è normale che mamma e papà, soprattutto se sono al loro primo figlio, possano entrare in crisi.
La paura del parto, infatti, può essere provocata dal timore di non essere in grado di far nascere il bimbo in maniera naturale, dal dolore fisico che si proverà, dalla preoccupazione che qualcosa possa andare storto e che il bambino, magari, possa avere delle patologie non scoperte durante tutta la gravidanza.

Ma il parto è anche il momento che dà inizio a una nuova vita per mamma e papà che cambierà da quel momento e per sempre.
Ecco perché poter raccontare se stessi e quello che si sta provando e condividere le proprie esperienze e sensazioni con chi sta provando le stesse cose e sta vivendo gli stessi momenti può essere davvero fondamentale.

Quando ci si trova in queste sedute di gruppo, dopo l’imbarazzo iniziale, si comincia a raccontare e a liberare la mente di ogni pensiero.

Moltissime persone sono purtroppo ancora scettiche nei confronti della medicina narrativa, considerandola solo una delle tante mode del momento priva di qualsiasi fondamento scientifico, ma altrettante si sono dovute ricredere.

Fonti

Birth Narr th Narratives: A V es: A Vehicle for W ehicle for Women’s Agency and Catharsis s Agency and Catharsis

Bambini: educare all’amicizia

Bambini: educare all’amicizia

L’amicizia è un fatto imponderabile, indefinibile in tanti suoi aspetti, ma una cosa è certa, inizia a farsi vedere dai primi anni dell’infanzia e sa crescere a volte per tutta la vita.

Difficile dare una definizione, ma l’amicizia è un fattore che tutti conosciamo e di cui godiamo, un rapporto universale con alcune caratteristiche più o meno sempre presenti, come intensità, reciprocità e un aiuto a dirimere i problemi in modo pacifico, ma senza imposizioni.

Negli anni ’70 gli studiosi dello sviluppo tendevano a negare la capacità dei bambini di creare relazioni significative amicali, ponendo quelle con la madre come principale e dominante. Per la psicanalista Susan Isaacs i rapporti fra bambini erano solo derivanti da un approccio egoistico.

Studi recenti come quelli di Baumgartner e Bombi (2005) sembrano ribaltare la prospettiva affermando che fra i 3 e 6 anni i bambini sanno già costruire rapporti con i coetanei senza la mediazione di un adulto.

L’amicizia cambia con le fasi della vita. Dai 3 ai 5 anni l’amico è sempre momentaneo, una sorta di avversario con cui si instaura una tregua di gioco, secondo le teorie di Rubin del 1998, ma il rapporto si interrompe se mancano le condizioni sicure.

Per gli adulti l’amicizia è alla base di una formazione del carattere e del rapporto con gli altri, ma è un aspetto che si apprende da bambini, con la crescita dell’autostima e della percezione dei confini nelle relazioni.

Gli adulti possono formare il bambino all’amicizia, interagendo con lui in modo empatico e sano, aiutandolo a sviluppare bisogni e limiti e ponendosi come modello delle relazioni amicali, mostrando un buon comportamento nei rapporti di questo tipo fra adulti.

Possono anche svolgere il ruolo di facilitatori, invitando amici e candidati per appuntamenti di gioco. Inoltre possono svolgere un ruolo soft di arbitro, spingendo alla ricerca di una soluzione pacifica e con autocontrollo, ma senza dare un giudizio in ambiti che non sono di loro pertinenza.

Le amicizie sono anche il punto di partenza per creare una relazione con chi è differente, perché in assenza di preconcetti e tabù i bambini possono relazionarsi anche con compagni di strati sociali differenti, di nazionalità diverse, anche grazie ad un forte linguaggio non verbale che caratterizza giocoforza le loro prime amicizie, gettandole basi per diventare adulti stabili e capaci di interpretare i comportamenti di chi hanno davanti e di capirne bisogni esigenze e anche i limiti.

Fonti

Children’s friendships

Judy Dunn, 2006, L’amicizia tra bambini

Emma Baumgartner, Anna Silvia Bombi, 2005, Bambini insieme. Intrecci e nodi delle relazioni tra pari in età prescolare

L’amicizia tra bambini: un valore importante

Le cinture di sicurezza in gravidanza: sì, no, come

Le cinture di sicurezza in gravidanza: sì, no, come

Le donne in gravidanza, spesso, pensano che avvalersi della cintura di sicurezza, nel loro stato, non sia obbligatorio e che, anzi, sia da evitare per non nuocere al feto.

La legge consente alle gestanti di non usare questo importante dispositivo di sicurezza solo se fornite di un’attestazione medica che certifichi determinate situazioni di pericolo conseguenti all’utilizzo della cintura. L’esenzione è, quindi, un’eccezione alla regola generale, solo in casi specifici.

Gli esperti concordano sul fatto che la cintura di sicurezza deve essere usata da tutti, incluse le donne incinte, sia mentre si guida sia quando, da passeggeri, si occupa il sedile anteriore o posteriore. Gli incidenti automobilistici sono, infatti, la prima causa di morte per le persone di età compresa tra 5 e 34 anni e le cinture di sicurezza sono il modo più efficace per salvare vite umane e ridurre le lesioni negli incidenti.

Recenti ricerche americane hanno avuto come oggetto la sicurezza dell’uso o meno della cintura di sicurezza in gravidanza. In uno studio che ha esaminato 126 gestanti incorse in incidenti stradali: si è riscontrato un aumento del 3,5% del rischio di morte del feto nelle donne che indossavano le cinture e del 25% nelle donne che non le indossavano.

In un’altra ricerca a cui hanno partecipato quasi 900 mila donne, in un arco di tempo compreso tra il 2001 e il 2008, sono state esaminate le conseguenze sul feto degli incidenti stradali. Ne è emerso un notevole aumento di rischio per il feto nelle poche donne (circa il 2%) che non indossavano la cintura al momento dell’incidente.

La cintura di sicurezza risulta particolarmente utile nel caso di impatti lievi. Prove su manichini hanno, infatti, mostrato che, la cintura riduce notevolmente la pressione dell’urto sulla pancia. E’ molto importante, tuttavia, indossarla appropriatamente quando si è in attesa di un bambino.

La cintura va indossata sotto la pancia in prossimità dei fianchi. Non va, invece, mai indossata sopra o sulla pancia: in caso di malaugurato incidente, l’improvviso sobbalzo della cintura in questa posizione potrebbe causare la lacerazione della placenta dall’utero o ferite di altro tipo.

La cintura per le spalle, che si dovrebbe adattare perfettamente al seno e al lato della pancia, va sempre indossata senza mai posizionare la tracolla sotto il braccio o dietro la schiena.

Durante la guida è necessario assicurarsi di mantenere l’addome abbastanza lontano dall’airbag e lo sterno a circa 30 cm dal cruscotto e dal volante. A questo scopo, potrebbe essere necessario regolare il sedile anteriore. Se il volante è regolabile, va posizionato verso l’alto e lontano dallo stomaco. In questo modo, l’airbag, eventualmente, si aprirebbe in direzione del petto e non della pancia della donna alla guida.

Fonti

Perinatal implications of motor vehicle accident trauma during pregnancy: identifying populations at risk

Effects of seat belts worn by pregnant drivers during low-impact collisions

Information from Your Family Doctor. Car safety during pregnancy

Linee guida Gravidanza Fisiologica

Saving Mothers’ Lives 2006-2008

Il Papà è “meno indispensabile” della Mamma?

Il Papà è “meno indispensabile” della Mamma?

Ci si chiede spesso se il lavoro delle madri incida sul benessere dei bambini in età prescolare e scolare, mentre, invece il problema non si pone per i padri. È come se si attribuisse un’importanza minore al rapporto padre-bambino. Soprattutto nel primo anno di vita, le cure paterne non sarebbero indispensabili e i padri non soffrirebbero per nulla, o in misura minore rispetto alle madri, del distacco dai figli durante le ore lavorative. La teoria dell’attaccamento, definita da Bowlby, riguarderebbe, quindi, solo il rapporto madre figlio.

Questa convinzione è talmente radicata che, ove si verifichino condizioni che la sovvertono, ad esempio una famiglia in cui la mamma lavora e il papà resta a casa a occuparsi dei figli, non esiste un termine per descrivere la situazione. Si coniano neologismi cacofonici e improbabili a riprova dell’eccezionalità della situazione (tipo mammo), come se il padre non fosse un genitore a tutti gli effetti, ma solo una figura surrogata a quella materna.

A riprova di questa concezione dei ruoli genitoriali, dal punto di vista socioeconomico, alla nascita del primo figlio, accade spesso che le madri rafforzino il loro ruolo di caregiver e gli uomini quello di breadwinner. In parole più semplici, appena nasce il bambino, le donne che lavorano riducono il loro orario lavorativo per occuparsi del piccolo e i padri, se possibile, lavorano di più per sostenere la famiglia che è aumentata.

Nelle coppie giovani, si assiste a una mini rivoluzione sociale. Cresce, infatti, il tempo che i padri dedicano alla gestione materiale della casa e alla cura dei figli. L’inversione di tendenza si riferisce essenzialmente alle attività ludiche e di socializzazione, molto meno alle cure materiali tipo preparare da mangiare. Da una recente indagine risulta che in Italia solo l’11% dei padri accudisce materialmente i figli in età prescolare. Percentuale bassissima rispetto ai padri danesi (57%), finlandesi (31%) e inglesi (24%).

Collaborare paritariamente alla cura dei figli, contribuisce a creare e a rafforzare l’attaccamento con il padre che non deve essere percepito dal bambino come un occasionale baby sitter. È questo il risultato a cui si deve tendere, sradicando le consuetudini culturali che si estrinsecano socialmente in atteggiamenti negativi verso un ruolo paterno attivo.

I datori di lavoro, per esempio, non vedono di buon occhio i congedi parentali dei padri, sebbene siano previsti dalla legge 53/2000 e pur ricoprendo solo il 10% dei permessi richiesti.

Gli studi comportamentali degli ultimi decenni dimostrano che il coinvolgimento paterno nella cura fisica dei figli favorisce dal punto di vista sociale il sovvertimento di retaggi culturali obsoleti in cui il ruolo delle donne è relegato essenzialmente alla cura della casa e della famiglia.

La presenza attiva dei padri nella gestione familiare ha quindi un’importanza fondamentale per fare sì che i figli crescano senza pregiudizi di genere.

Fonte

Paternità e maternità. Non solo disuguaglianze di genere

Migliorare la propria vita di mamma col delcuttering

Migliorare la propria vita di mamma col delcuttering

Per le mamme che si destreggiano tra il lavoro, la casa e la cura dei figli, ritagliarsi del tempo per se stesse sembra spesso una missione impossibile. In realtà esiste un modo per rendere tutto più semplice da gestire: il decluttering, termine inglese che in italiano si traduce letteralmente come togliere di mezzo qualcosa d’ingombrante e che si può riassumere con la locuzione nostrana mettere in ordine.

Il decluttering facilita la vita delle mamme in molti modi: ci sono meno cose da pulire, è più facile trovarle, e c’è più spazio a disposizione per i bambini. Per cominciare è fondamentale predisporre un piano di azione, un progetto preciso senza il quale il tentativo di riordinare si tradurrebbe in disordine ulteriore. Una volta che si è deciso, è importantissimo non aspettare il momento giusto. Ogni momento è perfetto per iniziare l’opera. Indugiare è solo una perdita di tempo che ha come unico risultato l’aumento del disordine.

Il decluttering potrebbe essere emotivamente e fisicamente estenuante: per questo non è utile porsi obiettivi poco realistici, ma è opportuno sceglierne di fattibili e compatibili con i propri compiti di madre che sono già abbastanza gravosi.

Gli ambienti disordinati spesso sono causa di stress per la maggior parte delle persone, in particolare per le mamme indaffarate che si dividono tra casa e lavoro. In una ricerca recente si è evidenziato, a riprova di questo, che il livello di cortisolo (l’ormone dello stress) è inferiore nelle donne che descrivono le loro case come ordinate, rispetto a quelle che, invece, le descrivono come disordinate. Il decluttering può, quindi, avere implicazioni emotive e psicologiche di rilievo sul benessere delle madri.

Il disordine distrae perché rende difficile trovare ciò di cui si ha bisogno. Eliminarlo, mettendo in ordine, ha come conseguenza una migliore concentrazione. Migliorare lo spazio vitale vale anche come iniezione di autostima: ci si sente orgogliosi di un ambiente ordinato e ci si vergogna, infatti, del disordine.

Una casa disordinata non è necessariamente sporca. E’ difficile, però, pulire bene intorno a una catasta di oggetti. Il decluttering, in questo senso, aiuta a ridurre gli accumuli di polvere, muffe e funghi che possono scatenare asma e allergie.

Il decluttering è una forma di liberazione fisica. Il disordine, infatti, è solitamente il frutto di un vastissimo assortimento di emozioni e ricordi che può trasformarsi in una vera e propria stampella psicologica. Una volta superata la diffidenza iniziale, ci si rende conto di non avere bisogno di un oggetto per ricordare una persona o un evento; ci si accorge semplicemente che le emozioni, i ricordi e sentimenti ci sono ancora anche se ci si è sbarazzati del superfluo.

Fonti

Come fare Decluttering e sentirsi meglio

Decluttering Per Mamme Con Poco Tempo: Fare Spazio

Tre tecniche per fare vero decluttering e guadagnarci in tutti i sensi

E’ l’ora del decluttering