Secondo una ricerca gli omogeneizzati industriali avrebbero un valore nutritivo molto inferiore rispetto ai cibi freschi e ai pasti preparati a casa.
Molti omogeneizzati contengono, infatti, una enorme quantità di zuccheri inutili, oltre a essere consigliati, in modo a dir poco azzardato, per l’alimentazione dei bambini a partire dai quattro mesi di età. Secondo le linee guida sullo svezzamento, i bambini dovrebbero, invece, cominciare ad assumere cibi solidi, oltre al latte materno o artificale, intorno ai sei mesi.
Lo svezzamento è spesso anticipato forzatamente proprio perché le mamme sono indotte in errore dalle etichette di alcuni alimenti per la prima infanzia, contrassegnati come adatti dai quattro mesi in poi.
Gli esperti del dipartimento di nutrizione umana dell’Università di Glasgow hanno analizzato una vasta gamma di alimenti per l’infanzia prodotti dai principali produttori del Regno Unito valutandone le informazioni nutrizionali (calorie, grassi, ferro e calcio).
Dei 479 alimenti esaminati, quasi la metà (il 44%, per la precisione) erano destinati a bambini a partire dai quattro mesi. I ricercatori hanno rilevato che il contenuto calorico degli alimenti al cucchiaio è, in media, di 282 kJ (67 calorie) per 100 g, quasi identico al latte artificiale (283 kJ per 100 g di formula). La differenza dei prodotti industriali con gli alimenti naturali non risiede, quindi, nell’apporto calorico, ma nella qualità dei nutrienti.
Gli alimenti commerciali, infatti, rispetto a quelli fatti in casa, sono risultati ricchi di zuccheri e carenti di ferro.
L’eccesso di zuccheri a partire dalla tenerissima età può avere conseguenze spiacevoli: i bambini, abituandosi a un gusto dolce e deciso, potrebbero sviluppare una poco salutare avversione verso cibi meno saporiti, ma più sani.
Molti genitori, per vari motivi, trovano comodo ricorrere ai prodotti preconfezionati, senza considerare che la preparazione dei cibi, oltre a essere migliore qualitativamente, è anche economicamente conveniente, sebbene più dispendiosa in termini di tempo.
Gli alimenti per l’infanzia fatti in casa sono realizzati con ingredienti freschi che conservano intatto il proprio contenuto di sostanze nutritive. Inoltre, la preparazione di passati di verdura, verdura, carne e pesce, grazie agli elettrodomestici moderni, si è enormemente semplificata.
Abituare i bambini a una alimentazione naturale sin dalla più tenera età significa educare il loro gusto a cibi sani con conseguenti benefici sulla loro salute in età adulta. L’uso, invece, di soli prodotti industriali sortirà necessariamente l’effetto opposto.
L’Acido Folico è una vitamina del complesso B, nello specifico la vitamina B9, importante per il normale processo di rigenerazione cellulare, ma ancora di più lo è durante la gravidanza e soprattutto nei primi mesi.
Ecco perché per i folati, la forma di questo composto naturalmente presente all’interno degli alimenti, non è sufficiente per far fronte alle accresciute necessità, ma è indispensabile intervenire prontamente con un’integrazione.
L’Acido Folico è un metabolita indispensabile nelle reazioni di sintesi del DNA, il codice genetico che contiene tutte le informazioni di ogni individuo. Una sua carenza, quindi, non consente la regolare e corretta duplicazione cellulare ed è proprio per questo motivo che in assenza dei corretti livelli di vitamina B9 si possono verificare casi di malformazioni genetiche.
Il meccanismo con cui questa sostanza agisca non è ancora del tutto chiaro, ma le statistiche dimostrano un maggior rischio soprattutto di malformazioni del tubo neuronale (un esempio è la spina bifida), così come di altri difetti come il labbro leporino.
Nelle normali fasi della vita, una corretta alimentazione è in grado di fornire il giusto quantitativo di folati, infatti questi sono particolarmente abbondanti in alimenti come i legumi, la frutta secca, le verdure a foglia verde, i formaggi, le uova, il fegato e le frattaglie.
Tanto odiati dai bambini ma procurano un sollievo immediato in caso di raffreddore, sono veloci, economici e ritenuti generalmente privi di effetti collaterali. Stiamo parlando dei lavaggi nasali, utilizzati per liberare il nasino dei neonati da muco e catarro. Ma sono davvero sicuri e innocui per le mucose dei bambini più piccoli? Facciamo un po’ di chiarezza.
Nel 2016, in seguito al decesso di una bambina torinese di due mesi e mezzo, alcuni pediatri hanno puntato il dito contro la pratica quotidiana dei lavaggi nasali. La piccola infatti era svenuta durante il bagnetto, nel momento in cui la mamma le stava liberando il nasino, tramite il classico lavaggio nasale.
Alcuni esperti affermarono che questa pratica, a prima vista semplice e totalmente innocua, non era priva di rischi soprattutto se effettuata in modo scorretto o con troppa energia. A far la differenza, secondo i pediatri, era anche la temperatura della soluzione stessa che, se troppo fredda, poteva scatenare una reazione paragonabile a un’immersione in acqua fredda. Lo shock termico avrebbe impedito il respiro nelle prime vie aeree superiori, il conseguente rallentamento del battito cardiaco e lo svenimento del piccolo.
Questo clima di generale allarmismo, nato dalla tragedia della piccola, è stato ridimensionato nel corso degli anni. Lo studio “Nasal saline irrigation in children: a study of compliance and tolerance” pubblicato su PubMed, ha affermato che la maggior parte dei bambini tollera con successo l’irrigazione nasale.
Anche nel nostro Paese sono intervenuti alcuni esperti per confermare l’efficacia e la sicurezza del lavaggio nasale. Roberto Cutrera, direttore dell’unità di bronco-pneumologia all’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma. Secondo lo specialista, non sussiste nessun pericolo nei lavaggi nasali a patto ovviamente di eseguirli nella maniera corretta.
Nei piccoli fino a 18 mesi è consigliabile… [SEGUE]
Si chiama baby brain e colpisce 4 donne in gravidanza su 5. I sintomi? Si avverte la strana sensazione che il cervello sia avvolto da una nebbia, la tendenza è quella di dimenticare le cose e di essere più disattente. Bisogna preoccuparsi? Niente affatto, è un fenomeno del tutto naturale e passeggero.
Ad affermarlo è il risultato di un’analisi capillare eseguita dai ricercatori della Deakin University in Australia che ha coinvolto più di 1.200 donne in dolce attesa. Grazie ai vari esperimenti clinici, gli studiosi sono giunti alla conclusione che il funzionamento cognitivo in gravidanza è ridotto, soprattutto durante il terzo trimestre.
A risentire di questa “nebbia mentale” sono soprattutto le funzioni che riguardano l’attenzione ai dettagli, la risoluzione dei problemi e la pianificazione degli eventi.
I risultati di questo studio, pubblicato su The Medical Journal of Australia, sono comunque da leggere con estrema cautela, secondo gli stessi ricercatori, perché non riguardano l’intera gravidanza e possono anche non comparire.
Un successivo studio pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience ha addirittura evidenziato come ci sia un’effettiva perdita di materia grigia nella zona dell’ippocampo, la parte del cervello dove vengono generati nuovi neuroni.
Strano a dirsi, ma non per tutte le puerpere il parto è un’esperienza dolorosa. Certo, in alcuni casi ci sono medicinali che aiutano notevolmente a attenuare le sensazioni, spesso molto fastidiose e a volte traumatiche, ma per una percentuale molto piccola, più o meno allo 0,3%, ci pensa direttamente la natura.
Vengono di solito chiamati parti estatici e uno studio francese ha messo in evidenza come sebbene si tratti di un fenomeno poco diffuso, non è una leggenda metropolitana, come si legge nelle pubblicazioni della ricercatrice Thierry Postel.
Allo studio hanno collaborato 956 ostetriche di lunga esperienza con dati che sono stati integrati anche da quelli forniti volontariamente dalle madri, con 668 testimonianze di cui 9 positive per la presenza di un parto estatico. Il fenomeno è raro, ma non così tanto come si potrebbe credere.
Al momento ci sono più domande che risposte sulla sua origine, anche perché per quanto se ne sa ad essere rilevante per il fenomeno è la conformazione dell’apparato della singola madre, ma ci possono essere anche altri elementi difficili da rintracciare in sede clinica e legati proprio al momento dello sforzo finale e della salita di certi ormoni nel sangue.
I neonati, a differenza degli adulti, non sono ancora in grado di gestire correttamente il ritmo circadiano. Pertanto hanno bisogno di dormire anche di giorno, per un totale di 14/17 ore. Man mano che crescono, le ore di sonno necessarie al loro benessere diminuiscono progressivamente per assestarsi, attorno ai sei anni e quindi all’inizio della scuola primaria, attorno alle 7/9 ore di riposo esclusivamente notturno, più o meno come gli adulti.
Una premessa importante: ogni bambino è diverso e ha esigenze diverse, perciò occorre tenere presente che ogni indicazione relativa al numero di ore di sonno, è da considerarsi come indicazione di massima. La realtà concreta non aderisce a rigidi schemi, anche se questi possono fare da riferimento generale.
Finché si nutrono solo con latte materno o in polvere, i neonati generalmente fanno una poppata ogni 2/3 ore, quindi si svegliano ciclicamente seguendo il proprio ritmo alimentare. Non a caso, i primi mesi di vita di un bambino sono anche i più impegnativi per i genitori, che sono costretti a svegliarsi di notte diverse volte per poter nutrire il piccolo secondo le sue esigenze.
Con lo svezzamento le cose “migliorano“, in quanto i cibi solidi donano un senso di sazietà più lungo e, di conseguenza, il piccolo comincerà ad avere un ritmo di sonno/veglia più regolare. A partire dai 6/8 mesi, infatti, la maggior parte dei bambini è in grado di dormire 10 ore continuative di notte con due sonnellini diurni, uno a metà mattina e uno a metà pomeriggio.
Questo schema può essere considerato ideale fino ai 3 anni, quando il piccolo inizierà a frequentare la scuola dell’infanzia. A quel punto il ciclo del sonno ideale del bambino prevede un riposo notturno di 11/12 ore e un sonnellino pomeridiano di 1/2 ore.
Oltre alla quantità del sonno, è importante controllarne anche la qualità... [SEGUE]
Molto spesso in ambito pediatrico esistono diversi punti di vista e scuole di pensiero, ma alla domanda se si può portare fuori il neonato, la risposta è nella stragrande maggioranza dei casi Sì.
Su internet si leggono spesso notizie infondate, che possono fare molto più danno di quanto ci si possa immaginare e ci si trova a dover rispondere a mamme che domandano se il neonato deve restare in casa per almeno un mese, perché l’hanno letto su qualche sito con la benché minima ombra di attendibilità.
Vediamo allora qual è Il parere dei pediatri in materia di uscite con il neonato.
Anne Hansen, MD, MPH, del Children’s Hospital Boston, dove ricopre il ruolo di Direttore Medico dell’Unità Neonatale di Terapia Intensiva, alla domanda se sia possibile portare i neonati fuori, ha immediatamente risposto che non ci sono problemi.
L’idea che i bambini debbano restare protetti in casa per alcune settimane dopo la nascita è semplicemente infondata. Basta che il neonato sia sano e non sottoposto a un regime medico in cui è stato esplicitamente detto di non portarlo fuori e seguire alcune semplici precauzioni di buon senso.
Negli ultimi anni sono sempre di più le mamme che, sfidando i pregiudizi, hanno cominciato a condividere su internet le gioie e le sfide che vivono ogni giorno. Se un tempo ci si scambiava consigli e opinioni nelle sale d’attesa del pediatra, oggi le mamme comunicano attraverso i social network e forum.
Quando è esploso per la prima volta il fenomeno delle mamme blogger, le critiche non hanno tardato ad arrivare. Tuttavia con il passare degli anni è cambiato il modo di vedere questi strumenti e oggi molte di loro, che nel gergo informatico vengono chiamate “mommy blogger” oppure “instamoms”, hanno raggiunto un livello di popolarità inimmaginabile tanto da costruirci su una vera e propria carriera.
Questo fenomeno affonda le proprie radici in America, dove le mamme blogger stipulano accordi commerciali con aziende che vendono prodotti per bambini, diventando così a tutti gli effetti dei punti di riferimento per le altre mamme che necessitano di consigli.
Negli ultimi anni anche in Italia questo fenomeno ha coinvolto diverse mamme, tuttavia nonostante non siano stati ancora raggiunti i livelli dell’America, molte di loro sono diventate delle vere star del web.
Secondo una ricerca condotta dall’agenzia FattoreMamma, l’età media delle mamme influencer italiane è compresa tra i 35 e 45 anni e i momenti della giornata in cui preferiscono collegarsi sono la mattina e tarda serata.
Per molte donne il parto è fonte di ansia, stress e di vera e propria paura. Si tratta di una condizione psicologica normale e naturale, soprattutto per le neo mamme che si trovano ad affrontare il parto per la prima volta.
La paura del parto si distingue in varie tipologie a partire dalla paura dell’ignoto, del non sapere cosa effettivamente accadrà. È frequente nelle donne che non hanno mai partorito, spesso suggestionate da racconti di esperienze negative di cui si è sentito o letto.
È molto comune anche la paura del dolore del travaglio. Esistono vari modi per alleviare i dolori del parto: basta parlarne con il proprio medico che saprà consigliare le tecniche migliori per tranquillizzare la partoriente.
La paura di dover ricorrere al parto cesareo o a un’epidurale, quindi a un intervento, è molto frequente. In questo caso, informarsi approfonditamente sul parto in ogni sua possibile sfaccettatura, magari frequentando un corso specifico, può essere utile.
La paura di perdere il controllo delle proprie funzioni corporee ha una valenza essenzialmente psicologica: è del tutto normale che si verifichino perdite urinarie durante il travaglio e durante il parto, non c’è nulla di cui vergognarsi.
La più comune per le donne… [SEGUE]
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