Quanto deve dormire un neonato?

I neonati, a differenza degli adulti, non sono ancora in grado di gestire correttamente il ritmo circadiano. Pertanto hanno bisogno di dormire anche di giorno, per un totale di 14/17 ore. Man mano che crescono, le ore di sonno necessarie al loro benessere diminuiscono progressivamente per assestarsi, attorno ai sei anni e quindi all’inizio della scuola primaria, attorno alle 7/9 ore di riposo esclusivamente notturno, più o meno come gli adulti.

Una premessa importante: ogni bambino è diverso e ha esigenze diverse, perciò occorre tenere presente che ogni indicazione relativa al numero di ore di sonno, è da considerarsi come indicazione di massima. La realtà concreta non aderisce a rigidi schemi, anche se questi possono fare da riferimento generale.

Finché si nutrono solo con latte materno o in polvere, i neonati generalmente fanno una poppata ogni 2/3 ore, quindi si svegliano ciclicamente seguendo il proprio ritmo alimentare. Non a caso, i primi mesi di vita di un bambino sono anche i più impegnativi per i genitori, che sono costretti a svegliarsi di notte diverse volte per poter nutrire il piccolo secondo le sue esigenze.

Con lo svezzamento le cose “migliorano“, in quanto i cibi solidi donano un senso di sazietà più lungo e, di conseguenza, il piccolo comincerà ad avere un ritmo di sonno/veglia più regolare. A partire dai 6/8 mesi, infatti, la maggior parte dei bambini è in grado di dormire 10 ore continuative di notte con due sonnellini diurni, uno a metà mattina e uno a metà pomeriggio.

Questo schema può essere considerato ideale fino ai 3 anni, quando il piccolo inizierà a frequentare la scuola dell’infanzia. A quel punto il ciclo del sonno ideale del bambino prevede un riposo notturno di 11/12 ore e un sonnellino pomeridiano di 1/2 ore.

Oltre alla quantità del sonno, è importante controllarne anche la qualità... [SEGUE]

Il ruolo dei nonni di oggi

Il ruolo dei nonni di oggi

Con il provvedimento del 12 luglio 2013, approvato dal Consiglio dei Ministri è stato cambiato il concetto di “patria potestà” con quello di “responsabilità genitoriale”. Di conseguenza, è cambiato tutto lo status familiare, che attualmente include nel percorso di crescita, affettivo e formativo dei minori, anche i parenti più prossimi, in prima istanza i nonni.

Il ruolo dei nonni è, ad oggi, fondamentale per aiutare le famiglie a crescere dei bambini equilibrati e soddisfatti dal punto di vista affettivo ed è una cosa naturale e fisiologica.

Possiamo fare un paragone con l’importanza che si riserva agli anziani delle tribù indiane o di altri Paesi rurali dove tramandano la storia, dispensano saggezza, mettono a disposizione di tutti l’esperienza e la forza morale acquisita nel corso della vita, grazie al superamento di tante prove.

In Italia, così come in tutti i Paesi industrializzati, in questo particolare periodo storico, la figura dei nonni ha grande importanza per diversi motivi. Innanzitutto, i pensionati hanno un reddito fisso e garantito, spesso a differenza dei propri figli che devono fare i conti con il precariato o con le attività in proprio, che non garantiscono sempre entrate costanti.

In secondo luogo, i nonni hanno tempo, a differenza dei genitori che devono dedicare diverse ore della giornata al lavoro. Va da sé, quindi, che l’organizzazione familiare all’arrivo di un bambino risulta molto più semplice e agevole se vengono coinvolti i nonni: nei primi anni di vita del bimbo sostituiscono la babysitter, garantendo al piccolo amore e cura, dopodiché si occupano di accompagnare i nipoti a scuola, alle attività pomeridiane e agli incontri sociali con gli amici, sollevando i genitori da incombenze che non potrebbero ottemperare per mancanza di tempo.

Per quanto riguarda l’aspetto affettivo del rapporto nonni-nipoti, bisogna considerare un fattore importante: il gap generazionale tra figli e genitori è poco ampio ed è più facile che si creino conflitti. Il salto di una generazione che esiste tra nipote e nonno, invece, rende la comunicazione empatica ed affettiva più semplice.

I nonni, quindi, sono dei veri e propri cuscinetti in grado di mitigare gli inevitabili scontri tra i nipotini e i loro genitori, riuscendo quasi sempre a ripristinare la serenità cercando di tenere conto delle esigenze di tutti.

Per quanto riguarda l’arrivo in famiglia di figli adottivi, il discorso non cambia: è importantissimo coinvolgere i nonni in tutto il percorso di adozione, affinché possano creare un legame profondo e stabile anche con i nipotini non di sangue e donare il loro prezioso contribuito nella fase di accoglienza e inserimento del bambino.

I nonni, in sostanza, sono in grado di sopperire alle carenze economiche, di tempo e affettive che la vita frenetica e complicata di oggi impone. Tutto questo a favore dei bambini che, grazie a loro, non ne risentono.

Fonti

The Role of Grandparents in the Lives of Youth

Quando nasce un bambino… nascono anche quattro nonni – Rivista Italiana di Educazione Familiare, n. 2 – 2013.

La paura degli estranei nei neonati

Vedere il proprio figlio piangere per motivi apparentemente non validi, come il semplice avvicinarsi di una persona non familiare, può destare preoccupazione nei genitori, oltre che essere fonte di imbarazzo.

Uno dei fenomeni più frequenti che coinvolge la maggior parte dei neonati è proprio la paura degli estranei, nota come “crisi dell’ottavo mese”. Il bambino, specie quando si trova nei primi di mesi di vita, reagisce a questo stimolo esterno utilizzando il pianto. Si tratta di una fase transitoria, che accompagna il neonato dagli otto mesi in poi, e che va poi a esaurirsi entro il secondo anno d’età.

Perché i neonati hanno paura degli estranei? Questa reazione viene stimolata nel momento in cui i bambini si rendono conto che davanti a sé non hanno più il genitore, bensì una persona sconosciuta, che non fa parte del proprio “nido”.

Si tratta di uno stato d’animo che rimarca a tutti gli effetti un rifiuto da parte del neonato delle persone che ha davanti, anche se si tratta dei nonni.

Molti genitori sono convinti che questa fase non sia funzionale nella crescita dei propri bambini, in verità è un chiaro segnale che indica i progressi compiuti dai bambini stessi: solitamente i neonati cominciano a distinguere i genitori dalle altre persone intorno all’ottavo mese, e nel momento in cui trovano davanti a sé un estraneo percepiscono un senso d’ansia, perché hanno coscienza del distacco avvenuto tra loro e i/il genitori/e.

Questa fase, seppur transitoria, può… [SEGUE]

Il tuo bambino si annoia spesso? Potrebbe essere plusdotato

Si sente spesso parlare di piccoli geni, intendendo con questa espressione quei bambini definiti “plusdotati”, a cui, nell’immaginario collettivo, sono associate capacità straordinarie. In realtà questa caratteristica che interessa il 2% della popolazione infantile ha paramenti ben definiti.

Riconoscere un bambino plusdotato non è semplice o immediato, anzi spesso è uno specialista a individuare questa caratteristica sulla base del comportamento del bambino, delle sue attitudini e dei suoi interessi.

Nella maggior parte dei casi un bambino plusdotato tende ad avere un’immaginazione spiccata e fin troppo avanzata per la sua età, crea dei mondi immaginari anche complessi, si mostra interessato ad argomenti specifici, fa tante domande, si annoia spesso, non riesce a restare inattivo e mostra capacità di astrazione e ragionamento tipiche di età maggiori.

Facendo riferimento ad un approccio psicometrico, un bambino superdotato deve avere un QI (Quoziente Intellettivo) pari o superiore a 130 e questo si traduce non semplicemente in una maggiore intelligenza ma in un’intelligenza diversa rispetto ai coetanei.

Quasi tutti i plusdotati mostrano grande interesse nei confronti di libri e siti internet in riferimento a determinati argomenti che li appassionano. Possono essere caratterizzati da sensi molto sviluppati, hanno un modo diverso di relazionarsi agli altri: sono sensibili alle situazioni di ingiustizia e alle aspettative altrui, hanno una vita interiore sviluppata vivendo con grande intensità i propri sentimenti.

etti “gifted children” mostrano spesso difficoltà… [SEGUE]

Capricci, crisi isteriche e pianto: vademecum per neo genitori

Quando si è da poco tempo genitori, assistere per le prime volte a delle crisi di pianto del proprio bambino può essere piuttosto destabilizzante, perché non si capiscono questi comportamenti così violenti e non si sa come risolverli.

Sebbene spiacevoli ed inaspettate, queste forti manifestazioni di rabbia non sono insolite o strane, ma anzi piuttosto usuali, soprattutto in alcune fasce di età.

I capricci, così sono chiamate di solito le crisi isteriche che colpiscono i bambini, coinvolgono solitamente quelli in età prescolare e possono iniziare addirittura intorno all’anno e mezzo di età.

Per i genitori, è importante sapere che questi scatti d’ira veri e propri non dipendono da una cattiva educazione o da motivazioni similari, per cui non hanno motivo di incolparsi.

Una crisi di rabbia in un bambino può scaturire da differenti sensazioni che questo prova, e talvolta è molto difficile comprendere le motivazioni. Tali momenti possono durare da una decina di minuti fino ad oltre mezz’ora e di solito comprendono urla, pianti isterici, il lancio di oggetti o giocattoli, botte a persone ed elementi fisici, e talvolta anche la violenza fisica agli altri.

Sebbene si creda, spesso erroneamente, che…. [SEGUE]

Educare alla felicità coltivando l’intelligenza emotiva

L’educazione emotiva è un argomento molto dibattuto negli ultimi anni, quando si parla non solo di adolescenti, ma piuttosto di bambini piccoli e neonati. Sembra, infatti, ci fosse un aspetto dell’educazione infantile che spesso veniva ignorato e non coltivato, che riguardava appunto le emozioni, ma che finalmente è stato approfondito dagli esperti di pedagogia e che può essere applicato anche dai genitori.

Si parla proprio di analfabetismo emotivo, che negli anni ha colpito giovani e giovanissimi, a causa di mancanze educative nella tenera età. Infatti, come troviamo l’analfabetismo tradizionalmente conosciuto, che deriva dal mancato apprendimento della lingua parlata e scritta, quello emotivo coinvolge il non saper gestire le proprie emozioni, un comportamento che va insegnato e quindi appreso sin da neonati.

Appena nati i bambini non comprendono da soli le loro emozioni, come il pianto o la sofferenza, poiché non capiscono le motivazioni che si celano dietro a queste reazioni. Quindi è molto importante che i genitori si impegnino, senza particolari sforzi, a tentare di spiegare al bambino, sin da quando è molto piccolo, cosa causa le emozioni provate, come ad esempio il fastidio derivante dal pannolino bagnato o dallo spuntare dei primi denti. In questo modo, semplice e che non necessita di competenze particolari da parte dei genitori, il bambino crescerà con la consapevolezza delle proprie emozioni, che quindi saranno anche più semplici da metabolizzare ed affrontare.

Le emozioni sono innate nell’uomo, per cui sussistono sin dalla nascita, e anzi, persino nei momenti prima, durante i quali i bambini sono ancora nella pancia della mamma. Proprio per questo motivo, non esiste un’età giusta per educare i propri bambini alle emozioni, perché l’intelligenza emotiva può essere sviluppata fino da quando il bambino non è ancora nato, per poi continuare ovviamente nei primi giorni di vita.


Una fase fondamentale è poi quando il bambino inizia ad avere due anni, ossia nel momento in cui comincia a comprendere le parole e le spiegazioni dei genitori, ma anche a contrapporsi a questi ultimi.
L’educazione emotiva è poi importante che sia portata avanti di pari passo sia in casa, per cui da genitori e nonni, ma anche nel contesto scolastico da maestri ed insegnanti.

Crescendo poi, ovviamente, le emozioni provate… [SEGUE]

Educare alla libertà con il metodo Montessori

Maria Montessori(1870-1952), neuropsichiatra infantile, pedagogista ed educatrice. Un’intellettuale, attiva nel sostegno all’infanzia ed ideatrice del celebre metodo che porta il suo nome, diffuso in tutto il Mondo, che credeva fermamente nella libertà dei bambini, i quali dovrebbero essere sempre spontanei e manifestare la loro vera anima senza interferenze da parte degli adulti.

Il Metodo Montessori si basa proprio sul principio della libertà, che va favorita nei bambini. Lasciando i bambini liberi di agire e apprendere in modo spontaneo, infatti, questi riescono a tirare fuori le loro emozioni e il loro modo di essere in modo naturale e senza essere in alcun modo costretti o influenzati da genitori ed educatori.

Questi ultimi, secondo il metodo Montessori, hanno il solo compito di favorire la libertà dei bambini e la loro spontaneità, ricreando un ambiente circostante familiare, nel momento in cui questi stanno apprendendo, e anche utilizzando strumenti appositamente pensati dalla stessa Maria Montessori.

I materiali didattici utilizzati sono studiati per facilitare l’apprendimento dei bambini con un’educazione sia sensoriale che motoria. Tali materiali, nonché le attività che la Montessori aveva studiato per facilitare l’apprendimento dei bambini, cambiano in base all’età di questi, per cui è possibile trovare programmi pensati per bambini 0-3 anni, 3-6 anni, 6-12 anni e 12-18 anni.

Grazie al metodo Montessori, ogni bambino può apprendere in un ambiente pensato appositamente per lui e per soddisfare le sue esigenze. In questo modo si sentirà a proprio agio e manifesterà in modo spontaneo le proprie emozioni e sensazioni. Ciò permette loro di esprimere al meglio il potenziale nascosto e tutte le caratteristiche che li rendono unici e differenti dagli altri.

Ogni bambino, infatti, ha un modo di apprendere personale ed unico… [segue]