Vita da Neomamma: quello che nessuno ti aveva detto prima

Vita da Neomamma: quello che nessuno ti aveva detto prima

La nascita di un bambino sconvolge inevitabilmente ritmi e orari di tutta la famiglia e, in particolare, della neo mamma che, dopo i lunghi nove mesi di gravidanza, si trova ad affrontare una vita completamente diversa, una vita nuova di cui, se è al primo figlio, sa molto poco. La mancanza di esperienza causa ansia e preoccupazione nonostante la felicità per l’arrivo del neonato.

Nelle settimane subito dopo il parto, gli ormoni, aumentati durante la gestazione, continuano a produrre i loro prodigiosi effetti regalando alle neo mamme energie straordinarie che consentono loro di adattarsi alla nuova routine e, allo stesso tempo, lunghi momenti di sconforto e tristezza difficili da gestire. Le prime sei settimane con un neonato sono una serie infinita di continui alti e bassi per qualsiasi genitore: alti e bassi importanti e intensi che lasciano il segno per sempre.

Il primo scoglio è alimentare il piccolo. Allattare al seno, per quanto naturale, non è così facile come sembra. Alcune donne fanno fatica le prime volte, tendono ad irrigidirsi appena il bambino apre la bocca e rendono l’operazione snervante e logorante.

Nonostante gli ormoni e l’eccesso di adrenalina dovuto al cambiamento tanto atteso, la stanchezza e la privazione del sonno, inevitabile per le poppate, si fanno sentire. Il poco sonno sembra quasi rubato alla cura del neonato e privato per questo dell’innato effetto ristoratore.

Tutto ciò che riguarda il bambino si trasforma in un evento straordinario che provoca agitazione. È il caso del primo bagnetto con l’ansia per la temperatura giusta dell’acqua e per la paura di far scivolare il piccolo.

Abituarsi alla cura del neonato è impresa ardua. Su tutto emerge il fatto che il tempo non appartiene più alla mamma, ma è scandito dai bisogni e dagli orari del bambino. Può aiutare, in alcuni casi, frequentare un gruppo di neomamme per rendersi conto di non essere le sole a sentire il peso del cambiamento.

Dopo un po’, si instaura, comunque, una nuova normalità, con rituali ben definiti che regalano alla neomamma serenità e la sensazione di riappropriarsi del controllo della propria vita che sembrava smarrito subito dopo il parto.

Le prime settimane dopo la nascita del bambino sono sicuramente un periodo estenuante e sconvolgente, ma tutto si ricompone, secondo un ordine nuovo, dopo poco tempo. Le incombenze quotidiane, il sonno perso, la stanchezza sono ripagate dai versetti teneri del bimbo, dalle sue smorfiette, dagli odori dolci e, dopo qualche settimana, dai primi sorrisi.

Fonti

A Day in the Life of a New Mom

‘What do new mothers do all day?’

What Life as a New Mom Is Really Like

Intrattenere un neonato giocando

Intrattenere un neonato giocando

Gioco e neonato sembrano due concetti antitetici perché siamo convinti che il bimbo sia troppo piccolo per sperimentare un’attività ludica finalizzata all’apprendimento.

In realtà le cose non stanno così: la mente e il corpo del bambino si stanno sviluppando velocemente e in modo sorprendente. Durante il primo mese di vita il piccolo apprende e impara grazie all’interazione con i genitori. Ma come si fa a giocare con un neonato?

Durante il primo mese di vita, la pancia di mamma e papà è più interessante e stimolante di un parco giochi. Gli esperti consigliano infatti di mettere il bambino sulla pancia, quando è sveglio, più volte al giorno. Il focus di questa coccola-esercizio è aiutarlo a sviluppare le prime capacità motorie che coinvolgono anche la testa.

E se il bimbo non ama questa posizione? L’alternativa è sdraiarlo accanto a voi su un pavimento, incoraggiandolo a sollevare la testa con l’ausilio di un asciugamano morbido da mettere sotto il suo corpo per agevolarne i movimenti.

Il bambino alla nascita è dotato di alcuni riflessi involontari che gli garantiscono senza dubbio la sopravvivenza ma non dobbiamo sottovalutare la loro importanza in termini di interazione con il mondo esterno.

Se proviamo a toccargli una guancia appena nato, il piccolo si girerà istintivamente verso quel lato, pronto a nutrirsi: è un semplice riflesso, chiamato di radicazione. Se invece stimoliamo il piccolo con il gioco, nel giro di 3/4 settimane, inizierà a girarsi non per un semplice riflesso ma perché avrà imparato che in quella direzione trova del cibo. È una piccola conquista a metà strada tra l’orientamento temporale e la consapevolezza.

Non sottovalutiamo l’importanza del linguaggio, anche se ci può sembrare prematuro nei primi mesi di vita. In realtà i piccoli iniziano a collegare il suono della voce al volto ed è proprio quel suono che li spinge a essere più attivi e vigili. Non ha importanza quello che diciamo ma il modo.

Parliamo di qualsiasi cosa ma cerchiamo di intrattenerlo il più possibile con la nostra voce: il piccolo ascolta, collega e impara. Sotto questa ottica anche cantare diventa uno strumento indispensabile perché crea un apprendimento rapido e piacevole. Il bambino, grazie a questi piccoli gesti, impara a sua volta a comunicare.

Nei primi mesi di vita è necessario fornire al neonato una stimolazione che passa attraverso l’utilizzo di piccoli sonagli, giocattoli musicali o tramite la lettura di un libro colorato, uno strumento ideale per continuare a far sentire la nostra voce al bambino, modulando anche il tono e l’intensità.

Fonti

Learning, Play, and Your Newborn

Am I Doing Enough With My Newborn?

Bambini: educare all’amicizia

Bambini: educare all’amicizia

L’amicizia è un fatto imponderabile, indefinibile in tanti suoi aspetti, ma una cosa è certa, inizia a farsi vedere dai primi anni dell’infanzia e sa crescere a volte per tutta la vita.

Difficile dare una definizione, ma l’amicizia è un fattore che tutti conosciamo e di cui godiamo, un rapporto universale con alcune caratteristiche più o meno sempre presenti, come intensità, reciprocità e un aiuto a dirimere i problemi in modo pacifico, ma senza imposizioni.

Negli anni ’70 gli studiosi dello sviluppo tendevano a negare la capacità dei bambini di creare relazioni significative amicali, ponendo quelle con la madre come principale e dominante. Per la psicanalista Susan Isaacs i rapporti fra bambini erano solo derivanti da un approccio egoistico.

Studi recenti come quelli di Baumgartner e Bombi (2005) sembrano ribaltare la prospettiva affermando che fra i 3 e 6 anni i bambini sanno già costruire rapporti con i coetanei senza la mediazione di un adulto.

L’amicizia cambia con le fasi della vita. Dai 3 ai 5 anni l’amico è sempre momentaneo, una sorta di avversario con cui si instaura una tregua di gioco, secondo le teorie di Rubin del 1998, ma il rapporto si interrompe se mancano le condizioni sicure.

Per gli adulti l’amicizia è alla base di una formazione del carattere e del rapporto con gli altri, ma è un aspetto che si apprende da bambini, con la crescita dell’autostima e della percezione dei confini nelle relazioni.

Gli adulti possono formare il bambino all’amicizia, interagendo con lui in modo empatico e sano, aiutandolo a sviluppare bisogni e limiti e ponendosi come modello delle relazioni amicali, mostrando un buon comportamento nei rapporti di questo tipo fra adulti.

Possono anche svolgere il ruolo di facilitatori, invitando amici e candidati per appuntamenti di gioco. Inoltre possono svolgere un ruolo soft di arbitro, spingendo alla ricerca di una soluzione pacifica e con autocontrollo, ma senza dare un giudizio in ambiti che non sono di loro pertinenza.

Le amicizie sono anche il punto di partenza per creare una relazione con chi è differente, perché in assenza di preconcetti e tabù i bambini possono relazionarsi anche con compagni di strati sociali differenti, di nazionalità diverse, anche grazie ad un forte linguaggio non verbale che caratterizza giocoforza le loro prime amicizie, gettandole basi per diventare adulti stabili e capaci di interpretare i comportamenti di chi hanno davanti e di capirne bisogni esigenze e anche i limiti.

Fonti

Children’s friendships

Judy Dunn, 2006, L’amicizia tra bambini

Emma Baumgartner, Anna Silvia Bombi, 2005, Bambini insieme. Intrecci e nodi delle relazioni tra pari in età prescolare

L’amicizia tra bambini: un valore importante

Il Papà è “meno indispensabile” della Mamma?

Il Papà è “meno indispensabile” della Mamma?

Ci si chiede spesso se il lavoro delle madri incida sul benessere dei bambini in età prescolare e scolare, mentre, invece il problema non si pone per i padri. È come se si attribuisse un’importanza minore al rapporto padre-bambino. Soprattutto nel primo anno di vita, le cure paterne non sarebbero indispensabili e i padri non soffrirebbero per nulla, o in misura minore rispetto alle madri, del distacco dai figli durante le ore lavorative. La teoria dell’attaccamento, definita da Bowlby, riguarderebbe, quindi, solo il rapporto madre figlio.

Questa convinzione è talmente radicata che, ove si verifichino condizioni che la sovvertono, ad esempio una famiglia in cui la mamma lavora e il papà resta a casa a occuparsi dei figli, non esiste un termine per descrivere la situazione. Si coniano neologismi cacofonici e improbabili a riprova dell’eccezionalità della situazione (tipo mammo), come se il padre non fosse un genitore a tutti gli effetti, ma solo una figura surrogata a quella materna.

A riprova di questa concezione dei ruoli genitoriali, dal punto di vista socioeconomico, alla nascita del primo figlio, accade spesso che le madri rafforzino il loro ruolo di caregiver e gli uomini quello di breadwinner. In parole più semplici, appena nasce il bambino, le donne che lavorano riducono il loro orario lavorativo per occuparsi del piccolo e i padri, se possibile, lavorano di più per sostenere la famiglia che è aumentata.

Nelle coppie giovani, si assiste a una mini rivoluzione sociale. Cresce, infatti, il tempo che i padri dedicano alla gestione materiale della casa e alla cura dei figli. L’inversione di tendenza si riferisce essenzialmente alle attività ludiche e di socializzazione, molto meno alle cure materiali tipo preparare da mangiare. Da una recente indagine risulta che in Italia solo l’11% dei padri accudisce materialmente i figli in età prescolare. Percentuale bassissima rispetto ai padri danesi (57%), finlandesi (31%) e inglesi (24%).

Collaborare paritariamente alla cura dei figli, contribuisce a creare e a rafforzare l’attaccamento con il padre che non deve essere percepito dal bambino come un occasionale baby sitter. È questo il risultato a cui si deve tendere, sradicando le consuetudini culturali che si estrinsecano socialmente in atteggiamenti negativi verso un ruolo paterno attivo.

I datori di lavoro, per esempio, non vedono di buon occhio i congedi parentali dei padri, sebbene siano previsti dalla legge 53/2000 e pur ricoprendo solo il 10% dei permessi richiesti.

Gli studi comportamentali degli ultimi decenni dimostrano che il coinvolgimento paterno nella cura fisica dei figli favorisce dal punto di vista sociale il sovvertimento di retaggi culturali obsoleti in cui il ruolo delle donne è relegato essenzialmente alla cura della casa e della famiglia.

La presenza attiva dei padri nella gestione familiare ha quindi un’importanza fondamentale per fare sì che i figli crescano senza pregiudizi di genere.

Fonte

Paternità e maternità. Non solo disuguaglianze di genere

Il ruolo dei nonni di oggi

Il ruolo dei nonni di oggi

Con il provvedimento del 12 luglio 2013, approvato dal Consiglio dei Ministri è stato cambiato il concetto di “patria potestà” con quello di “responsabilità genitoriale”. Di conseguenza, è cambiato tutto lo status familiare, che attualmente include nel percorso di crescita, affettivo e formativo dei minori, anche i parenti più prossimi, in prima istanza i nonni.

Il ruolo dei nonni è, ad oggi, fondamentale per aiutare le famiglie a crescere dei bambini equilibrati e soddisfatti dal punto di vista affettivo ed è una cosa naturale e fisiologica.

Possiamo fare un paragone con l’importanza che si riserva agli anziani delle tribù indiane o di altri Paesi rurali dove tramandano la storia, dispensano saggezza, mettono a disposizione di tutti l’esperienza e la forza morale acquisita nel corso della vita, grazie al superamento di tante prove.

In Italia, così come in tutti i Paesi industrializzati, in questo particolare periodo storico, la figura dei nonni ha grande importanza per diversi motivi. Innanzitutto, i pensionati hanno un reddito fisso e garantito, spesso a differenza dei propri figli che devono fare i conti con il precariato o con le attività in proprio, che non garantiscono sempre entrate costanti.

In secondo luogo, i nonni hanno tempo, a differenza dei genitori che devono dedicare diverse ore della giornata al lavoro. Va da sé, quindi, che l’organizzazione familiare all’arrivo di un bambino risulta molto più semplice e agevole se vengono coinvolti i nonni: nei primi anni di vita del bimbo sostituiscono la babysitter, garantendo al piccolo amore e cura, dopodiché si occupano di accompagnare i nipoti a scuola, alle attività pomeridiane e agli incontri sociali con gli amici, sollevando i genitori da incombenze che non potrebbero ottemperare per mancanza di tempo.

Per quanto riguarda l’aspetto affettivo del rapporto nonni-nipoti, bisogna considerare un fattore importante: il gap generazionale tra figli e genitori è poco ampio ed è più facile che si creino conflitti. Il salto di una generazione che esiste tra nipote e nonno, invece, rende la comunicazione empatica ed affettiva più semplice.

I nonni, quindi, sono dei veri e propri cuscinetti in grado di mitigare gli inevitabili scontri tra i nipotini e i loro genitori, riuscendo quasi sempre a ripristinare la serenità cercando di tenere conto delle esigenze di tutti.

Per quanto riguarda l’arrivo in famiglia di figli adottivi, il discorso non cambia: è importantissimo coinvolgere i nonni in tutto il percorso di adozione, affinché possano creare un legame profondo e stabile anche con i nipotini non di sangue e donare il loro prezioso contribuito nella fase di accoglienza e inserimento del bambino.

I nonni, in sostanza, sono in grado di sopperire alle carenze economiche, di tempo e affettive che la vita frenetica e complicata di oggi impone. Tutto questo a favore dei bambini che, grazie a loro, non ne risentono.

Fonti

The Role of Grandparents in the Lives of Youth

Quando nasce un bambino… nascono anche quattro nonni – Rivista Italiana di Educazione Familiare, n. 2 – 2013.

Lo sviluppo del linguaggio: la fase della lallazione

Lo sviluppo del linguaggio: la fase della lallazione

Si chiama lallazione ed è un vero e proprio training motorio che permette al bambino di allenarsi nella produzione dei suoni tipici che precedono la comparsa del linguaggio.

Conosciuta anche come bubbling, questa fase segna il suo esordio intorno ai 5 o 6 mesi di vita. Il piccolo inizia a emettere dei piccoli suoni che di per sé non hanno alcun significato pratico. Da un punto di vista strettamente emotivo invece la lallazione produce piacere nel bambino che ama ascoltarsi e ripetere quanto più possibile una serie di semplici sillabe.

Nonostante il bubbling sia un allenamento che precede lo sviluppo della parola e del linguaggio, non dobbiamo sottovalutarne la potenza espressiva. Con il tempo il bambino infatti impara a modulare tono, ritmo e frequenza dei suoni emessi, riuscendo così a comunicare ai genitori le sensazioni che prova: rabbia, gioia, fastidio.

La lallazione è caratterizzata da due stadi. Il primo è quello del bubbling canonico. Il piccolo inizia a produrre un suono composto da sillabe identiche tra loro: ma-ma-ma, ad esempio, oppure pa-pa-pa. La sequenza è sempre la stessa (consonante e vocale) e viene ripetuta numerose volte.

Sembrano parole di senso compiuto, come mamma e papà: in realtà il bimbo sta semplice iniziando a produrre suoni elementari. Verso i 10 mesi il piccolo modifica le sillabe e ne produce di più complesse.

Questa fase, chiamata lallazione variata, rappresenta lo stadio delle proto-parole: la struttura è più complessa, lunga, articolata e quasi intenzionale. Le sillabe assumono una forma diversa (ma-pa-ma-na ad esempio) e un preciso significato in base al contesto in cui vengono utilizzate.

Lo stadio successivo è quello del linguaggio e delle prime parole che saranno chiare e di buona qualità se la lallazione avrà attraversato una serie di step ben precisi: l’esordio intorno ai 5/6 mesi e il passaggio da uno stadio all’altro.

A questo va aggiunto anche un altro punto fondamentale: il bubbling deve essere frequente e rumoroso. Il bimbo si esercita spesso nella produzione delle piccole sillabe e lo fa in momenti quali il cambio del pannolino o durante il bagnetto. La lallazione non è assolutamente codificata e uguale in tutti i bambini in quanto dipende dalla singola maturità funzionale ma anche dal contesto linguistico nel quale vive il piccolo.

Non deve allarmare inoltre un improvviso blocco nell’emissione di questi suoni. Una regressione è del tutto normale e spesso preannuncia l’arrivo delle prime parole. Cosa fare se il bimbo non lalla? Non bisogna spaventarsi ma semplicemente iniziare a stimolare il piccolo con giochi e piccole conversazioni.

Fonti:

S. Bruner, “Il linguaggio del bambino. Come il bambino impara a usare il linguaggio”.

M. Tomasello, “Le origini della comunicazione umana”

Lo sviluppo comunicativo e linguistico del bambino

A misura di Bambino: quanto è sicura casa tua?

A misura di Bambino: quanto è sicura casa tua?

Gli incidenti domestici sono una delle cause principali di danni o eventi fatali per i bambini, soprattutto in età pre-scolare (0-5 anni). Tanto da aver costretto il Ministero della Salute a stilare delle linee guida per i genitori, da tenere presenti per avere tutti gli strumenti atti a rendere la casa sicura per i propri figli.

Per quanto riguarda i neonati occorre prestare particolare attenzione alle cadute dai fasciatoi, sui quali non andrebbero mai lasciati da soli neanche per i pochi secondi necessari a prendere i prodotti per la pulizia o il cambio. Per lo stesso motivo si raccomanda di non mettere mai a riposare i neonati su letti o divani non provvisti di sponda perché, anche se molto piccoli, possono riuscire comunque a rotolare e correre il rischio di cadere.

Un’altra cosa a cui fare estrema attenzione è il bagnetto: i casi di annegamento in vasca, anche quelle omologate per i più piccoli, sono purtroppo in costante aumento. Mai distrarsi mentre il piccolo è in acqua.

Per quanto riguarda i bambini che gattonano, invece, quindi approssimativamente quelli in fascia d’età 6-24 mesi, bisogna prestare particolare attenzione a non lasciare mai alla loro portata oggetti piccoli, che potrebbero essere ingeriti e provocare soffocamento e premurarsi di applicare delle protezioni alle prese elettriche, oggetti da cui i piccoli sono attratti e che rappresentano un grosso rischio per la loro incolumità.

Infine, quando i bambini iniziano a camminare da soli, è necessario mettere la casa in sicurezza per quanto riguarda la copertura di spigoli vivi, pericolosi in caso il bambino cadesse e vi sbattesse la testa contro. È molto consigliato anche l’uso di cancelletti da applicare sulle scale, in modo che in bambini non ancora in grado di scendere e salire in autonomia siano messi al riparo da eventuali cadute.

Un altro consiglio prezioso, da tenere in considerazione in presenza di bambini di qualsiasi età, è quello di non conservare mai detersivi, solventi e medicinali alla loro portata: i casi di avvelenamento sono, purtroppo, molto più frequenti di quello che si possa pensare. Naturalmente, è importante anche chiudere in cassetti dotati di chiave o in armadietti alti, non raggiungibili dai bimbi, tutti gli oggetti potenzialmente pericolosi come accendini, liquidi infiammabili, coltelli, forbici, corde, fascette, attrezzi da lavoro o qualsiasi cosa non adatta ad essere maneggiata da un bambino piccolo.

Se la tua casa non risponde a tutti questi requisiti di sicurezza poni subito rimedio: bastano pochi, semplici e piccoli accorgimenti e un pizzico di attenzione in più per evitare situazioni drammatiche.

Fonte:

Ministero della Salute, “Bambini sicuri in casa”.

Neonato: quando si può iniziare ad uscire

Molto spesso in ambito pediatrico esistono diversi punti di vista e scuole di pensiero, ma alla domanda se si può portare fuori il neonato, la risposta è nella stragrande maggioranza dei casi Sì.

Su internet si leggono spesso notizie infondate, che possono fare molto più danno di quanto ci si possa immaginare e ci si trova a dover rispondere a mamme che domandano se il neonato deve restare in casa per almeno un mese, perché l’hanno letto su qualche sito con la benché minima ombra di attendibilità.

Vediamo allora qual è Il parere dei pediatri in materia di uscite con il neonato.

Anne Hansen, MD, MPH, del Children’s Hospital Boston, dove ricopre il ruolo di Direttore Medico dell’Unità Neonatale di Terapia Intensiva, alla domanda se sia possibile portare i neonati fuori, ha immediatamente risposto che non ci sono problemi.

L’idea che i bambini debbano restare protetti in casa per alcune settimane dopo la nascita è semplicemente infondata. Basta che il neonato sia sano e non sottoposto a un regime medico in cui è stato esplicitamente detto di non portarlo fuori e seguire alcune semplici precauzioni di buon senso.

Ma come fare per le uscite col neonato? [SEGUE]

Le amiche senza figli: perché è complicato mantenere i rapporti dopo la maternità?

Le amiche senza figli: perché è complicato mantenere i rapporti dopo la maternità?

La nascita di un figlio è uno dei momenti più importanti della vita di una donna che inevitabilmente comporta un cambiamento radicale delle proprie abitudini e che spesso, anzi la maggior parte delle volte, conduce anche ad una rivalutazione di numerosi rapporti d’amicizia.

Dunque, una domanda sorge spontanea: perché dopo la maternità è complicato e difficile mantenere stabile e vivo un rapporto con amiche che non hanno figli? La risposta è semplice: spesso è difficile comprendere come i ritmi di vita di una madre possano cambiare, soprattutto per chi di figli non ne ha.

Una piccola premessa è d’obbligo: ogni donna deve sentirsi libera di scegliere se avere o meno dei figli, ma allo stesso modo, tutte le donne devono comprendere come le esigenze di vita cambiano quando una nuova vita viene al mondo.

In base al tipo di comportamento assunto, è possibile classificare le amiche senza figli in diverse tipologie di amiche senza figli

  • L’amica comprensiva: colei che, essendo empatica, comprende qualsiasi situazione, capisce la tua posizione e nonostante le tue assenze e gli appuntamenti mancati è sempre presente e pronta a darti un supporto e ad offrirti una mano a cui aggrapparti nei momenti di necessità…
  • La giudicante: ecco, forse lei è quel tipo di amica da cui prendere le distanze. Si tratta di quell’amica che ha deciso di improntare la propria vita su altro, prendendo la difficile decisione di non volere figli ma che, nonostante ciò, fa sentire te come quella sbagliata e inadatta: non perdendo occasione per “bacchettarti”, dispensando ottimi (secondo lei) consigli su come gestire la tua vita di mamma.
  • La nostalgica: ultima ma non per importanza, c’è colei che ti travolgerà nei momenti pre-concepimento. Proverà ad allontanarti dalla realtà per ricordarti dei momenti divertenti vissuti insieme prima del parto. Ricordandoti la forza che hai dentro, ma soprattutto che sei ancora una donna viva e in grado di divertirti ad una serata tra donne senza la paura di voler tornare a casa dopo aver varcato la porta di casa. Insomma, lei sarà il tuo salvavita nei momenti di stress e tristezza.

La nascita di un figlio cambia il mondo di una madre, ma ogni cambiamento è fonte di bellezza e felicità e in questo caso anche una fonte incondizionata di amore. Ma questo significa che una madre non avrà mai tempo per stare con delle amiche o per fare nuove conoscenze? La risposta è no.

La solitudine fa male, anzi, fare delle nuove amicizie o provare a mantenere vive quelle storiche è un’ottima idea, soprattutto perché una donna oltre ad essere una madre è anche un’amica, amante, moglie e tanto altro. Allontaniamo le amicizie tossiche, di amiche che ci hanno sempre giudicate e mai comprese, guardate con gli occhi dell’invidia e mai di ammirazione e gratitudine e diamo il benvenuto a donne che ci sostengono, nonostante non siano ancora madri.

Fonti

Le Mamme e le amiche

Il fenomeno delle amiche senza i figli

Gli amici senza figli: perdere un sacco di amici quando si diventa genitori

L’istinto materno esiste davvero?

Il mito della “buona madre” si fonda tutto sull’esistenza dell’istinto materno: una sorta di capacità innata secondo la quale la donna ha una naturale propensione ad accudire i bambini senza mai sbagliare, sentire la fatica o peggio lamentarsi delle difficoltà legate al ruolo.

L’idea di istinto materno, come di una caratteristica che riguarda la donna in generale, definendo la sua identità, ha fatto assumere alla maternità stessa una funzione di completamento nel percorso di vita della donna (che pertanto se non è madre è donna a metà) e ha finito con il relegarla in casa oppure in ruoli subordinati…

Ma che cosa sono gli istinti? Partiamo proprio da questo. Dalla definizione riportata da William James, gli istinti sono una tendenza innata ad avere un determinato comportamento, senza che a monte si trovi formazione o una decisione vincolante. L’istinto materno sarebbe perciò il bisogno di avere bambini e una misteriosa abilità di allevarli in maniera automatica.

Da molte definizioni addirittura si desume che questo ipotetico istinto sia frutto di una predisposizione biologica ereditaria e non consentire il suo manifestarsi si tradurrebbe in comportamenti innaturali e anormali.

Dalle ricerche effettuate da Sarah Blaffer Hrdy, proiatologa e antropologa americana, l’uso della locuzione istinto materno sarebbe controproducente per i bambini. Studi sui languri e tamarini, primati poco noti al grande pubblico, emergono molti comportamenti delle femmine nei confronti della prole, legati alle condizioni ambientali e perciò appresi… non istintuali, appunto.

Secondo la Hrdy in presenza di un eventuale istinto materno… [SEGUE]

Bambini: no schermi fino ai 2 anni

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i neonati e i bambini non dovrebbero passare del tempo davanti agli schermi di tablet, pc o smartphone. Le raccomandazioni fanno parte di linee guida più ampie sull’attività fisica, il sonno e il comportamento sedentario che incoraggiano una maggiore attività fisica a partire dalla prima infanzia.

Per prevenire patologie future, in primis l’obesità infantile (e tutte le eventuali patologie connesse), e assicurare ai futuri adolescenti e adulti, un livello soddisfacente di benessere psico-fisico, è indispensabile diminuire la sedentarietà, incoraggiare l’attività fisica e assicurare una buona qualità del sonno nei bambini sin da piccolissimi.

I dati sulla sedentarietà degli adolescenti (80%) e degli adulti (23%) e sulle gravi conseguenze che ne derivano (oltre 5 milioni di decessi all’anno nel mondo per malattie collegate) sono illuminanti sulla necessità di abituarsi a uno stile di vita corretto a partire già dai primi due anni di vita.

Fondamentale, quindi, impegnare i bambini con giochi attivi, assicurandosi, al contempo, che il loro sonno sia sufficiente e di buona qualità.

Da uno studio, che ha interessato più di 500 bambini, pubblicato sulla rivista The Lancet Child and Adolescent Health nel gennaio del 2020 si evince che i bambini di età compresa tra i due e i tre anni che trascorrono più di tre ore al giorno davanti a qualsiasi tipo di schermo (tablet, pc, TV), all’età di 5 anni sono fisicamente meno attivi rispetto ai coetanei che, invece, utilizzano lo schermo per un’ora o meno ogni giorno.

rofessore Associato… [SEGUE]

Da Blogger a Influencer: le nuove Mamme dell’era social

Negli ultimi anni sono sempre di più le mamme che, sfidando i pregiudizi, hanno cominciato a condividere su internet le gioie e le sfide che vivono ogni giorno. Se un tempo ci si scambiava consigli e opinioni nelle sale d’attesa del pediatra, oggi le mamme comunicano attraverso i social network e forum.

Quando è esploso per la prima volta il fenomeno delle mamme blogger, le critiche non hanno tardato ad arrivare. Tuttavia con il passare degli anni è cambiato il modo di vedere questi strumenti e oggi molte di loro, che nel gergo informatico vengono chiamate “mommy blogger” oppure “instamoms”, hanno raggiunto un livello di popolarità inimmaginabile tanto da costruirci su una vera e propria carriera.

Questo fenomeno affonda le proprie radici in America, dove le mamme blogger stipulano accordi commerciali con aziende che vendono prodotti per bambini, diventando così a tutti gli effetti dei punti di riferimento per le altre mamme che necessitano di consigli.

Negli ultimi anni anche in Italia questo fenomeno ha coinvolto diverse mamme, tuttavia nonostante non siano stati ancora raggiunti i livelli dell’America, molte di loro sono diventate delle vere star del web.

Secondo una ricerca condotta dall’agenzia FattoreMamma, l’età media delle mamme influencer italiane è compresa tra i 35 e 45 anni e i momenti della giornata in cui preferiscono collegarsi sono la mattina e tarda serata.

Dove lavorano le mamme influencer? [SEGUE]

I sensi di colpa delle Mamme

Il senso di colpa è un sentimento particolarmente diffuso, specie tra le neo-mamme. Gli specialisti giungono ad attribuirgli la definizione di “mostro” pronto a distruggere il nostro equilibrio, e sorge nel momento in cui la donna si auto-convince di non fare abbastanza.

Questo sentimento può nascere anche per cose apparentemente banali: ad esempio, molte mamme si sentono in colpa quando devono affidare i propri figli a baby-sitter o nonni, oppure anche il pensiero di aver ripreso l’attività lavorativa, suscita in molte donne la sensazione di trascurare gli impegni da mamma.

Sono una brava mamma? Sto svolgendo i miei compiti al meglio? Sto dando tutto ciò che posso per rendere mio figlio felice? Queste sono solo alcune delle domande che si pongono le mamme afflitte dai sensi di colpa. I medici hanno scritto centinaia di libri sullo stato d’animo che pervade le neo-mamme e come uscirne, ciononostante non esiste una soluzione standard adatta a tutte.

Negli ultimi anni c’è la tendenza a lasciarsi condizionare dal modello di donna perfetta che viene promosso dai social network: questo non fa altro che genere ancora più insicurezze nelle neo-mamme, dando vita a quel senso di inadeguatezza che genera il senso di colpa.

Molte donne, invece… [SEGUE]

È geloso del fratellino. È gelosa della sorellina.

L’arrivo di un neonato in casa porterà grandi novità nella vita di tutti, ma a dover gestire il cambiamento maggiore, sarà sicuramente il fratello/la sorella maggiore.

Ritrovarsi a dividere le attenzioni del genitore, avere un nuovo bambino in casa che tenderà ad attirare, almeno per i primi i tempi, tutta l’attenzione su di sé, potrà apparire al primogenito come un grande sconvolgimento difficile da comprendere e accettare.

Gelosie, dispetti, irritabilità sono normalissimi soprattutto nel primo periodo ma sicuramente sono molto difficili da gestire per i genitori che spesso non sanno come comportarsi per rendere questo periodo di transizione il più sereno possibile per la propria famiglia.

Per aiutare il proprio bambino ad accettare nel modo migliore l’arrivo di un fratellino o di una sorellina possono essere utilizzati piccoli accorgimenti.

Innanzitutto sarà utile coinvolgere il bambino nella cura del nuovo arrivato, farlo sentire parte della nuova avventura e dargli qualche piccola responsabilità.

Nonostante il neonato richieda sicuramente costanti e importanti attenzioni, è importante mettere al primo posto qualche volta il fratello maggiore facendolo sentire sempre importante e focalizzando solo su di lui l’attenzione quando necessario.

Sarà importante anche provare… [SEGUE]

La paura degli estranei nei neonati

Vedere il proprio figlio piangere per motivi apparentemente non validi, come il semplice avvicinarsi di una persona non familiare, può destare preoccupazione nei genitori, oltre che essere fonte di imbarazzo.

Uno dei fenomeni più frequenti che coinvolge la maggior parte dei neonati è proprio la paura degli estranei, nota come “crisi dell’ottavo mese”. Il bambino, specie quando si trova nei primi di mesi di vita, reagisce a questo stimolo esterno utilizzando il pianto. Si tratta di una fase transitoria, che accompagna il neonato dagli otto mesi in poi, e che va poi a esaurirsi entro il secondo anno d’età.

Perché i neonati hanno paura degli estranei? Questa reazione viene stimolata nel momento in cui i bambini si rendono conto che davanti a sé non hanno più il genitore, bensì una persona sconosciuta, che non fa parte del proprio “nido”.

Si tratta di uno stato d’animo che rimarca a tutti gli effetti un rifiuto da parte del neonato delle persone che ha davanti, anche se si tratta dei nonni.

Molti genitori sono convinti che questa fase non sia funzionale nella crescita dei propri bambini, in verità è un chiaro segnale che indica i progressi compiuti dai bambini stessi: solitamente i neonati cominciano a distinguere i genitori dalle altre persone intorno all’ottavo mese, e nel momento in cui trovano davanti a sé un estraneo percepiscono un senso d’ansia, perché hanno coscienza del distacco avvenuto tra loro e i/il genitori/e.

Questa fase, seppur transitoria, può… [SEGUE]

Capricci, crisi isteriche e pianto: vademecum per neo genitori

Quando si è da poco tempo genitori, assistere per le prime volte a delle crisi di pianto del proprio bambino può essere piuttosto destabilizzante, perché non si capiscono questi comportamenti così violenti e non si sa come risolverli.

Sebbene spiacevoli ed inaspettate, queste forti manifestazioni di rabbia non sono insolite o strane, ma anzi piuttosto usuali, soprattutto in alcune fasce di età.

I capricci, così sono chiamate di solito le crisi isteriche che colpiscono i bambini, coinvolgono solitamente quelli in età prescolare e possono iniziare addirittura intorno all’anno e mezzo di età.

Per i genitori, è importante sapere che questi scatti d’ira veri e propri non dipendono da una cattiva educazione o da motivazioni similari, per cui non hanno motivo di incolparsi.

Una crisi di rabbia in un bambino può scaturire da differenti sensazioni che questo prova, e talvolta è molto difficile comprendere le motivazioni. Tali momenti possono durare da una decina di minuti fino ad oltre mezz’ora e di solito comprendono urla, pianti isterici, il lancio di oggetti o giocattoli, botte a persone ed elementi fisici, e talvolta anche la violenza fisica agli altri.

Sebbene si creda, spesso erroneamente, che…. [SEGUE]

Educare alla felicità coltivando l’intelligenza emotiva

L’educazione emotiva è un argomento molto dibattuto negli ultimi anni, quando si parla non solo di adolescenti, ma piuttosto di bambini piccoli e neonati. Sembra, infatti, ci fosse un aspetto dell’educazione infantile che spesso veniva ignorato e non coltivato, che riguardava appunto le emozioni, ma che finalmente è stato approfondito dagli esperti di pedagogia e che può essere applicato anche dai genitori.

Si parla proprio di analfabetismo emotivo, che negli anni ha colpito giovani e giovanissimi, a causa di mancanze educative nella tenera età. Infatti, come troviamo l’analfabetismo tradizionalmente conosciuto, che deriva dal mancato apprendimento della lingua parlata e scritta, quello emotivo coinvolge il non saper gestire le proprie emozioni, un comportamento che va insegnato e quindi appreso sin da neonati.

Appena nati i bambini non comprendono da soli le loro emozioni, come il pianto o la sofferenza, poiché non capiscono le motivazioni che si celano dietro a queste reazioni. Quindi è molto importante che i genitori si impegnino, senza particolari sforzi, a tentare di spiegare al bambino, sin da quando è molto piccolo, cosa causa le emozioni provate, come ad esempio il fastidio derivante dal pannolino bagnato o dallo spuntare dei primi denti. In questo modo, semplice e che non necessita di competenze particolari da parte dei genitori, il bambino crescerà con la consapevolezza delle proprie emozioni, che quindi saranno anche più semplici da metabolizzare ed affrontare.

Le emozioni sono innate nell’uomo, per cui sussistono sin dalla nascita, e anzi, persino nei momenti prima, durante i quali i bambini sono ancora nella pancia della mamma. Proprio per questo motivo, non esiste un’età giusta per educare i propri bambini alle emozioni, perché l’intelligenza emotiva può essere sviluppata fino da quando il bambino non è ancora nato, per poi continuare ovviamente nei primi giorni di vita.


Una fase fondamentale è poi quando il bambino inizia ad avere due anni, ossia nel momento in cui comincia a comprendere le parole e le spiegazioni dei genitori, ma anche a contrapporsi a questi ultimi.
L’educazione emotiva è poi importante che sia portata avanti di pari passo sia in casa, per cui da genitori e nonni, ma anche nel contesto scolastico da maestri ed insegnanti.

Crescendo poi, ovviamente, le emozioni provate… [SEGUE]

Legame col bebè: il ruolo dell’ecografia

In base a quanto dimostrato da recenti studi svizzeri, la procedura diagnostica che tutti conosciamo come ecografia ostetrica stimolerebbe il legame tra genitori e figlio. In che modo?

La visione “concreta” del bambino, effettuata attraverso le immagini ecografiche, a partire dal sesto mese di gravidanza, attiverebbe immediatamente le dinamiche verso la costruzione della relazione co-genitoriale.

Trasformarsi in genitori rappresenta un’importante fase di cambiamento sia per la donna che per l’uomo. La coppia, abituata a condurre un rapporto coniugale a due, vive un momento di transizione alla genitorialità e cogenitorialità. Condizioni significative dal punto di vista emozionale, fisico e sociale, osservabili a partire dal secondo trimestre di gravidanza.

L’atteggiamento reciproco e responsabile dei genitori s’intensifica via via durante il corso della gravidanza. Nello specifico, quando il bambino viene percepito concretamente, attraverso i movimenti fetali, e non più a livello immaginario. In questo processo di interazione familiare svolgerebbe, secondo gli studi, un ruolo fondamentale l’ecografia ostetrica, specie quella a quattro dimensioni (4D).

Nel processo psicologico dell’attesa, l’ecografia di routine, oltre a rassicurare la famiglia sullo stato di salute del bimbo, potrebbe dunque servire a dare un volto ed un’identità al nascituro. La conoscenza del prototipo infantile da parte dei genitori renderebbe perciò la gravidanza ancora più “reale”: impegnando la coppia in una riorganizzazione delle rappresentazioni mentali di se stessi e del bambino, e ne rafforza il legame.

Dalla ricerca emerge che i genitori… [SEGUE]

Gravidanza: come cambia il rapporto con la propria Mamma

Il rapporto madre-figlia è un rapporto in continua evoluzione, cambia dall’infanzia all’adolescenza e ancora in età adulta e allo stesso tempo è un pilastro fondamentale in ogni esperienza di vita che condiziona innumerevoli esperienze.


Anche durante la gravidanza, già di per sé periodo di grandi cambiamenti fisici e psicologici, il rapporto madre-figlia subisce un’ulteriore evoluzione.


La prospettiva di doversi occupare di un neonato, che dipende in tutto e per tutto dai genitori, può far paura e può mettere spesso in crisi le neo-mamme.


Mentre si cerca di costruire la propria identità di madre, ogni donna tende a fare riferimento all’esperienza diretta appoggiandosi alla propria figura materna: è così che durante la gravidanza il rapporto madre-figlia cambia ancora e si evolve con l’obiettivo di aiutare la gestante a costruire la propria identità e a superare nel migliore dei modi un periodo di forte cambiamento.

Avere paura ed essere insicure durante la gravidanza è del tutto normale, per questo spesso si cerca supporto e consiglio nella figura materna nel percorso che porta la gestante ad essere non più figlia ma a sua volta mamma.

L’equilibrio che si instaura in questo particolare momento… [SEGUE]

Diamo ai bambini una base sicura

L’attaccamento è il legame profondo, emotivo e a lungo termine che si forma tra due persone. Secondo il medico e psicologo inglese John Bowlby, i comportamenti di attaccamento dei bambini nei confronti degli adulti che si occupano di loro devono essere considerati, nel contesto evolutivo umano, come un comportamento adattivo dei neonati.
In parole semplici, secondo Bowlby i neonati si legano a chi se ne prende cura (non solo ai genitori) per assicurarsi la sopravvivenza.

Negli anni ’30, lavorando con minori provenienti da esperienze socialmente problematiche, John Bowlby si rese conto che questi bambini non riuscivano a relazionarsi agli altri, nè agli altri bambini, nè agli adulti.
Esaminando le loro storie familiari, si accorse che molti di loro avevano subito gravi distacchi e dolorose perdite in tenera età.

Dall’analisi delle condizioni emotive dei bambini cresciuti in situazioni di abbandono, Bowlby concluse che il legame affettivo che si instaura con i genitori sia indispensabile per la crescita emotiva del bambino. Di conseguenza, le interferenze a quel legame potrebbero avere effetti nocivi e duraturi sulla crescita psicologica.
Il risultato del suo lavoro fu la teoria dell’attaccamento, diventata fondamentale nella psicologia infantile.

A quel tempo, si credeva che i bambini si attaccassero a chi li nutriva, intentendo l’attaccamento come un “comportamento appreso”. Bowlby ipotizzò una chiave di lettura diversa sostenendo che i neonati sono sopravvissuti per gran parte della storia umana assicurandosi di rimanere nelle immediate vicinanze e, quindi, sotto la protezione degli adulti.

Tutti i comportamenti dei bambini, che siano gesti o versi sonori, si configurano, secondo Bowlby, come comportamenti adattivi, il cui scopo è la conquista di una base sicura, materialmente e affettivamente, in cui crescere tranquillamente.

Bowlby, a riprova della sua teoria, ha evidenziato nei suoi studi che… [SEGUE]

Diventare genitori: perché la coppia va in crisi?

Il passaggio alla genitorialità è un periodo psicologicamente molto delicato nella vita di coppia. La relazione è esposta a una serie di cambiamenti e la transizione può determinare un calo della soddisfazione reciproca dei partner.

Durante i primi anni della vita di coppia, è naturale che i rapporti interpersonali subiscano un processo di assestamento utile a fissare e delineare la relazione. Di regola, è proprio durante questo periodo di rodaggio che si diventa genitori con la conseguenza di affrontare la sovrapposizione di due momenti importanti: il collaudo di una relazione personale e la nascita del primo figlio.

A prescindere dalla naturale ed eventuale necessità di assestamento della coppia e dei problemi che ne conseguono, la nascita di un bambino ha implicazioni notevoli sulla vita dei partner al punto da determinare spesso una profonda crisi tra i due.

Esistono diverse motivazioni che giustificano le frizioni e gli scontri tra i neo-genitori. La causa principale dei problemi di coppia è innanzitutto la riduzione del tempo che si trascorre insieme. Le ore precedentemente dedicate alla socializzazione, al relax e alle faccende domestiche possono ridursi drasticamente dopo la nascita del bambino, e questo può cambiare le dinamiche di una relazione.

La stanchezza è un altro dei fattori che portano a tensioni e problemi nelle relazioni dopo il parto. La mancanza di sonno può avere un enorme impatto sulla vita quotidiana ed è necessario considerare tutte le opzioni per porvi rimedio. Uno dei genitori potrebbe, per esempio, aver bisogno di dormire in un’altra stanza per recuperare il sonno perso.

Da non sottovalutare, tra i motivi che provocano contrasti… [SEGUE]