Con il passare degli anni, la scienza ci ha offerto numerose scoperte in campo medico, aiutando le donne nonché future madri ad avere una maggiore consapevolezza del proprio corpo e del momento del parto.
La domanda che ogni donna si pone con frequenza è: come avviene il parto? Un quesito apparentemente semplice ma che nasconde nozioni di notevole importanza.
Ogni donna, a seconda della conformazione fisica, è dotata del canale del parto, in sostanza si tratta di un’escavazione attraverso cui passa il bambino durante il parto. I misteri del canale del parto sono numerosi e affascinano donne e uomini.
La maggior parte delle donne presenta nella parte superiore del canale del parto una forma ovale, al contrario la parte inferiore assume una forma ovale con una pronuncia longitudinale.
Queste specifiche indicazioni apparentemente possono sembrare superflue, in realtà, questa forma non lineare del canale del parto determina che al momento della nascita il bambino debba ruotare su se stesso, questo procedimento inevitabilmente aumenta la possibilità di complicazioni al momento della nascita.
In campo medico i pareri degli esperti hanno reso chiara l’idea che un canale del parto uniforme avrebbe potuto rendere le cose molto semplici, difatti, ciò è quanto stato affermato da Katya Stansfield specializzata in biomeccanica.
Dunque, il bambino deve compiere un’operazione di rotazione su se stesso per allineare il suo cranio con il canale del parto. Viceversa, se ciò non dovesse accadere ci sarebbe il rischio di un travaglio ostruito ma anche notevoli conseguenze sulla salute del bambino e della madre.
In materia si sono espressi anche numerosi ricercatori biologi dell’università di Vienna. Hanno dimostrato come il pavimento pelvico, situato nella parte inferiore del bacino, abbia influenzato l’evoluzione del canale del parto.
Difatti, l’autorevole studioso Philipp Mitteroecker sostiene che “l’allungamento trasversale dell’ingresso pelvico si sia evoluto a causa dei limiti sul diametro anteriore-posteriore negli esseri umani imposti dal bilanciamento della postura eretta, piuttosto che dall’efficienza della locomozione bipede”, questi elementi hanno posto le basi per un canale del parto attorcigliato.
Ancora prima di rimanere incinta, le donne hanno spesso il terrore delle smagliature provocate dalla gravidanza e dal parto di cui sono quasi diventate sinonimo, al pari delle fastidiose nausee mattutine.
Il timore è, purtroppo, giustificato: il 90% delle donne in attesa presenta, infatti, smagliature, più o meno evidenti, entro il terzo trimestre di gestazione, solitamente intorno all’ombelico, sui glutei, sul seno e sulle cosce.
Le smagliature della gravidanza, scientificamente denominate striae gravidarum, sono fondamentalmente un tipo di cicatrici: striature frastagliate della pelle che assumono intensità e colorazioni differenti (rosa, rossi, nero, blu o viola) a secondo della parte del corpo in cui si formano e della loro età.
Appena comparse, le smagliature sembrano quasi in rilievo. Con il passare del tempo, al tatto, diventano assolutamente impercettibili. Le smagliature si producono quando la pelle subisce allungamenti repentini che lacerano gli elementi di sostegno degli strati superficiali dell’epidermide, formando, appunto, una cicatrice.
Una ricerca risalente al 2013 ha ipotizzato una inclinazione genetica alla formazione delle smagliature che, quindi, potrebbero essere addirittura ereditarie, tramandandosi, sfortunatamente, di madre in figlia. Anche l’uso di cortisone, ormone che rende la pelle meno elastica e la cui produzione avviene nelle ghiandole surrenali, potrebbe favorire l’insorgere delle smagliature.
La ricerca suggerisce che durante la gravidanza è più probabile che si formino smagliature nelle donne giovani e in quelle in cui si registra un aumento di peso più rapido della media. Alcune smagliature, purtroppo, sono permanenti, altre svaniscono naturalmente dopo la nascita del bambino. Esistono, comunque, trattamenti che, se iniziati precocemente, riescono a renderle meno evidenti.
Sulle smagliature si può intervenire con moderne tecniche i cui risultati sono molto soggettivi:
Peeling chimici: sono tecniche di esfoliazione della pelle con sostanze chimiche come l’acido glicolico.
Laserterapia: trattamento che riduce la gravità delle smagliature avvalendosi del laser.
Microdermoabrasione: esfoliazione con sostanze leggermente abrasive tipo i cristalli di corindone.
Microneedling o micro perforazione con aghi sottilissimi.
Radiofrequenza: tecnica che agisce riscaldando gli strati meno superficiali dell’epidermide per attivare la produzione di collagene.
Un cenno doveroso merita l’applicazione sulle smagliature di creme (con acido ialuronico, burro di cacao, vitamina E, olio di oliva e mandorle): pur non esistendo concrete evidenze scientifiche che ne provino l’efficacia, avendo proprietà emollienti, usarle non peggiorerà certamente la condizione delle smagliature. Anzi, migliorando il tono generale della pelle possono concorrere a renderle meno visibili.
Si chiama baby brain e colpisce 4 donne in gravidanza su 5. I sintomi? Si avverte la strana sensazione che il cervello sia avvolto da una nebbia, la tendenza è quella di dimenticare le cose e di essere più disattente. Bisogna preoccuparsi? Niente affatto, è un fenomeno del tutto naturale e passeggero.
Ad affermarlo è il risultato di un’analisi capillare eseguita dai ricercatori della Deakin University in Australia che ha coinvolto più di 1.200 donne in dolce attesa. Grazie ai vari esperimenti clinici, gli studiosi sono giunti alla conclusione che il funzionamento cognitivo in gravidanza è ridotto, soprattutto durante il terzo trimestre.
A risentire di questa “nebbia mentale” sono soprattutto le funzioni che riguardano l’attenzione ai dettagli, la risoluzione dei problemi e la pianificazione degli eventi.
I risultati di questo studio, pubblicato su The Medical Journal of Australia, sono comunque da leggere con estrema cautela, secondo gli stessi ricercatori, perché non riguardano l’intera gravidanza e possono anche non comparire.
Un successivo studio pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience ha addirittura evidenziato come ci sia un’effettiva perdita di materia grigia nella zona dell’ippocampo, la parte del cervello dove vengono generati nuovi neuroni.
I termini medicina narrativa non sono conosciuti dalla maggior parte delle persone anche se il loro significato è abbastanza intuitivo.
Si tratta, infatti, di una metodologia di intervento terapico-assistenziale che avviene tramite la narrazione dei diversi punti di vista dell’esperienza che si sta vivendo. La narrazione di se stessi e di quello che si sta passando non viene, però, effettuata solo da parte della futura madre, ma anche dal personale sanitario coinvolto, dal futuro padre e dalla famiglia.
Questa tipologia di pratica viene ormai utilizzata per tantissime condizioni e patologie, come ad esempio il cancro e la sclerosi multipla e tra queste vi è anche il momento tanto bello, quanto doloroso e sconvolgente del parto.
In ogni caso, i benefici che se ne possono trarre vanno a volte anche al di là di ogni aspettativa e riguardano tutti i soggetti che, con ruoli diversi, sono coinvolti nella terapia.
Medici, infermieri ed ostetriche, ad esempio, tramite la narrazione possono portare fuori tutte le loro ansie, paure difficoltà e senso di responsabilità e sicuramente anche il lavoro di squadra ne troverà giovamento.
Per la futura mamma e il papà poter esprimere tutte le preoccupazioni, i timori e le perplessità può essere fondamentale per vivere il parto, ma anche tutti i momenti che lo precedono e lo seguono, in maniera più consapevole.
Avvicinandosi alla fatidica data, infatti, è normale farsi prendere dall’agitazione, quando invece sarebbe molto più costruttivo essere razionali e pacati.
A parole può sembrare facile, ma è normale che mamma e papà, soprattutto se sono al loro primo figlio, possano entrare in crisi. La paura del parto, infatti, può essere provocata dal timore di non essere in grado di far nascere il bimbo in maniera naturale, dal dolore fisico che si proverà, dalla preoccupazione che qualcosa possa andare storto e che il bambino, magari, possa avere delle patologie non scoperte durante tutta la gravidanza.
Ma il parto è anche il momento che dà inizio a una nuova vita per mamma e papà che cambierà da quel momento e per sempre. Ecco perché poter raccontare se stessi e quello che si sta provando e condividere le proprie esperienze e sensazioni con chi sta provando le stesse cose e sta vivendo gli stessi momenti può essere davvero fondamentale.
Quando ci si trova in queste sedute di gruppo, dopo l’imbarazzo iniziale, si comincia a raccontare e a liberare la mente di ogni pensiero.
Moltissime persone sono purtroppo ancora scettiche nei confronti della medicina narrativa, considerandola solo una delle tante mode del momento priva di qualsiasi fondamento scientifico, ma altrettante si sono dovute ricredere.
Il rischio di entrare in menopausa precocemente (prima dei 45 anni) avrebbe un’incidenza minore nelle donne che hanno avuto una gravidanza o che hanno potuto allattare i loro bambini La spiegazione sarebbe da ricercare nell’interruzione momentanea dell’ovulazione durante il periodo di gestazione e il rallentamento della stessa durante l’allattamento.
In passato si era cercato, senza risultati soddisfacenti, di collegare i tempi d’inizio della menopausa alla gravidanza e all’allattamento. Gli studi in questa direzione, secondo la professoressa Langton della Massachusetts University, partivano da un approccio di base discutibile: si chiedeva, infatti, alle donne di indicare il momento preciso in cui erano entrate in menopausa. Tale momento è di difficile individuazione e, in molti casi, si perde nella memoria. I dati non avevano, quindi, l’affidabilità sufficiente per dimostrare il nesso tra la precocità della definitiva interruzione delle mestruazioni con la gravidanza o l’allattamento.
Una ricerca recente della professoressa Langton, invece di indagare i ricordi delle donne in menopausa, si è basata sull’esame delle cartelle cliniche nel Nurses’ Health Study II, un progetto di raccolta di informazioni su base volontaria che ha chiesto alle partecipanti di aggiornare ogni due anni, a partire dal 1989, le notizie relative al loro stato di salute. Il team guidato dalla Langton ha esaminato dati di oltre centomila donne in un arco temporale di quasi tre decenni.
Dall’esame dei dati si è evidenziato un rischio minore di menopausa precoce per tutte le donne con gravidanze anche di solo sei mesi. La diminuzione del rischio si è rilevata direttamente proporzionale al numero di gravidanze: 8% inferiore per le donne con una gravidanza, 16% per quelle con due e, addirittura 22% per le donne con tre gravidanze.
Il nesso non è giustificabile dall’infertilità. Infatti, se si sottraggono dalla ricerca i dati relativi alle donne che, pur tentando, non sono riuscite a concepire, i risultati non subiscono variazioni di rilievo.
Anche l’allattamento al seno incide sul rischio di menopausa precoce che si riduce del 28% nelle donne che durante la loro vita hanno allattato per un periodo di almeno sette mesi rispetto a quelle che non hanno mai allattato o che l’hanno fatto per meno di un mese. Il rischio si riduce ulteriormente, fino ad arrivare al 35% in meno, nelle donne che hanno avuto tre gravidanze e hanno allattato per sette-dodici mesi.
I risultati raccolti, dal punto di vista puramente statistico, consolidano l’ipotesi di partenza, cioè il nesso tra il rischio di menopausa prima dei 45 anni e le gravidanze e l’allattamento. Meno evidente è il collegamento all’ovulazione che rimane su un piano aleatorio, non suffragato da evidenze definitive. Vero è che la gravidanza interrompe la produzione di ovuli e che l’allattamento la interrompe: se sia la preservazione delle riserve di ovuli il motivo della riduzione del rischio di menopausa precoce è, invece, ancora da dimostrare.
Esporsi al sole durante la gestazione potrebbe favorire lo sviluppo del cervello del bambino. Nuove scoperte dei ricercatori dell’Università di Umeå, in Svezia, che lavorano in collaborazione con colleghi americani, potrebbero fornire una migliore comprensione di alcune malattie neurologiche che si manifestano in tarda età.
La professoressa Lena Gunhaga dell’UCMM (“Umeå Center for Molecular Medicine”) della Umeå University afferma che questa interessante scoperta potrebbe suggerire, l’adozione, in un futuro molto prossimo, di un innovativo trattamento per le partorienti. Per diminuire l’incorrere di patologie neurologiche nell’età adulta, la ricerca dell’università svedese ipotizza, infatti, il ricorso, durante la gravidanza, della sottoposizione delle donne a stimoli luminosi.
Il gruppo di ricerca svedese, coadiuvato dal professor Richard Lang a Cincinnati, USA, e dal suo team, ha dimostrato la presenza dell’Opsina 3 nel cervello umano sin dallo stato fetale. La molecola Opsina 3 ha un ruolo importante nella formazione di vari neuroni, nonché di diverse, aree del cervello e del midollo spinale.
Le opsine sono le molecole fotorecettrici universali di tutti i sistemi visivi del regno animale. Possono cambiare la loro conformazione da uno stato di riposo a uno stato di segnalazione dell’assorbimento della luce, che attiva la proteina G, determinando così una cascata di ulteriori segnalazioni che producono risposte fisiologiche. L’Opsina 3, in particolare, può essere collegata ai neuroni che presiedono a varie funzioni del corpo umano, non solo dal punto di vista motorio, ma anche puramente sensoriale (dal dolore alla memoria, dalle emozioni alla vista).
Il principio di base dello studio della professoressa GunHaga, cioè l’influenza della luce sulla formazione del cervello e sul suo uso per prevenire l’insorgere di patologie neurologiche, è nuovo. E’ noto, invece, da diverso tempo che la luce riesce ad attraversare l’epidermide (oltre che i tessuti molli e il cranio) per attivare sostanze come l’opsina 3. Prendendo spunto da quest’asserzione, ampiamente provata scientificamente, si è rilevato che la luce ha un compito fondamentale e imprescindibile nello sviluppo del sistema nervoso umano.
Si è spesso osservato, finora senza basi certe, che la stagione di nascita influisce sul rischio di patologie neurologiche: i nati in stagioni fredde (con meno luce del sole, quindi), sarebbero più soggetti a contrarre malattie di questo tipo (Parkinson, sclerosi multipla, autismo, Alzheimer, disturbo bipolare, schizofrenia ed epilessia).
La ricerca svedese potrebbe confermare questa ipotesi. Lo studio è stato recentemente pubblicato sull’importante rivista scientifica online eNeuro. Necessita, comunque, di ulteriori approfondimenti. E’stata condotta, infatti, solo su topi e l’azione dell’esposizione al sole durante la gravidanza negli esseri umani rimane ancora da testare.
La gravidanza è uno dei momenti più importanti e significativi per una donna, ma è anche un periodo che racchiude ansia, preoccupazioni e dubbi. Nessuna donna è a conoscenza di tutti quei comportamenti che probabilmente potrebbero incidere negativamente sulla salute del bambino, ma la scienza ogni giorno offre nuove nozioni e scoperte da fare proprie, e che permettono alle donne di affrontare con maggiore consapevolezza il periodo della gravidanza.
Tra le numerose domande quella più gettonata, tra le donne in attesa o che sognano una gravidanza, è sicuramente questa: esistono posizioni pericolose durante il sonno e che potrebbero essere fatali per il bambino? Tra i tanti studi condotti in materia, tempo addietro si arrivò alla conclusione che dormire a pancia all’aria o sul lato destro, potesse comportare dei danni al feto.
La spiegazione di tale affermazione è molto semplice: assumere queste posizioni, avrebbe potuto comportare la compressione dell’aorta o della vena cava, limitando il passaggio del sangue alla placenta e pregiudicando dunque la crescita del feto. Questa argomentazione fu oggetto di numerosi discussioni, al punto che in Inghilterra nel 2017 fu promossa una campagna di sensibilizzazione, quest’ultima invitava le donne a non assumere posizioni pericolose durante il sonno.
Nonostante la sua autorevolezza, questo studio fu presto messo in discussione per due motivi: la ricerca fu condotta su un numero limitato di donne, circa un centinaio; inoltre, la maggior parte delle interviste furono condotte post partum, realizzando quello che in campo medico è conosciuto anche come “bias”: ricreare cioè nelle donne un condizione mentale che le incoraggia a ricordare con poca lucidità qualsiasi comportamento passato che possa in qualche modo aver inciso sulla salute del bambino.
Recentemente, un nuovo studio ha spazzato via totalmente questo modo di pensare, offrendo valide argomentazioni fondate su presupposi convincenti. Difatti, basti pensare che sono circa novemila le donne intervistate, inoltre, la ricerca è stata condotta nel corso della gravidanza, durante i nove mesi e non al termine della stessa. La motivazione di tale modus operanti è semplice: periodicamente durante la gravidanza le donne sono state sottoposte a questionari relativi alle proprie abitudini durante il sonno, in questo modo le risposte saranno lucide e riguarderanno fatti recenti, facili da ricordare.
Ebbene, tale ricerca condotta su un numero esteso di donne, ha permesso di poter affermare ad oggi che assumere determinate posizioni nel corso della notte, non incide negativamente sula salute del feto.
Per questo motivo, salvo diverse indicazioni da parte del ginecologo, le donne in gravidanza possono dormire sonni sereni, nella posizione che ritengono più comoda per loro.
La percezione materna dei movimenti fetali è il metodo più antico di valutazione del benessere fetale, concetto oggi più oggettivamente definito come adeguata ossigenazione e nutrizione fetale unite a un sufficiente sviluppo osseo, neurologico e muscolare.
Le donne di solito iniziano a percepire i movimenti fetali tra la diciottesima e la ventesima settimana. Man mano che la gravidanza procede, i movimenti fetali aumentano fino a raggiungere il picco intorno alla trentaduesima settimana di gestazione.
La graduale diminuzione dei movimenti è dovuta probabilmente alla maturazione del sistema nervoso centrale, con conseguente comparsa di chiari stati comportamentali fetali, con periodi di sonno profondo alternati a sonno attivo e veglia attiva.
I movimenti fetali sono scarsi o inesistenti durante il sonno profondo, che di solito dura 20-50 minuti e raramente supera i 90 minuti nei feti sani normali. L’alternanza tra gli stati comportamentali fetali si verifica regolarmente durante il giorno e la notte nel terzo trimestre, con movimenti che diventano più frequenti la sera e nelle prime ore notturne.
L’aumento delle dimensioni fetali e la riduzione della quantità di liquido amniotico possono svolgere un ruolo nella ridotta percezione dei movimenti fetali osservata nella tarda gravidanza, oltre a contribuire alle mutevoli caratteristiche dei movimenti fetali: i calci iniziali vengono progressivamente sostituiti da movimenti lenti e contorti.
La presenza di movimenti fetali è stata a lungo utilizzata dalle donne in gravidanza come rassicurazione che il feto è vivo. Numerosi studi hanno dimostrato, tuttavia, che il movimento fornisce una misura relativamente importante della salute del feto: all’interno di una popolazione a basso rischio, il tasso di rilevamento di feti con problemi di crescita rapportato a una percezione ridotta dei movimenti fetali, rimane, infatti, molto basso. Inoltre, la correlazione tra la mera percezione e i movimenti veri rilevati dagli ultrasuoni è molto modesta: solo nel 37% dei casi la percezione di movimento fetale della madre corrisponde a un movimento reale.
Il conteggio dei movimenti fetali è stato introdotto nelle cure prenatali di routine negli anni ’70 e ’80, come metodo di screening per le complicanze associate all’ossigenazione e alla nutrizione fetali anormali. Ha il vantaggio di essere gratuito, non invasivo e di facile implementazione.
Le difficoltà sorgono quando si tiene conto della soggettività della quantificazione dei movimenti fetali, dell’ansia che può causare alle donne in gravidanza e delle visite e dei test aggiuntivi che possono essere richiesti quando viene percepita una riduzione dei movimenti.
Fatte queste premesse, il movimento del feto, lungi dall’essere considerato una prova incontrovertibile dello stato di salute del feto, deve essere vissuto dalla madre con serenità, come momento di intima e tenera connessione al nascituro.
Il massaggio della donna durante la delicata fase del travaglio è uno metodologia utile per migliorare lo stato di benessere della futura madre da un punto di vista psicofisico nei momenti precedenti il parto.
Uno dei motivi principali per cui si utilizza questa tecnica è la sua efficacia nel ridurre in breve tempo il livello di dolore e la sofferenza percepita con il progressivo incremento delle contrazioni, soprattutto alla schiena.
Inoltre, sono stati riscontrati dei benefici anche nel possibile arresto o rallentamento della dilatazione che a volte si verifica e ostacola la naturale discesa del bambino lungo il canale del parto.
Anche da un punto di vista psicologico, poi, è innegabile il vantaggio che se ne può trarre: la futura madre sarà più rilassata e tranquilla e si potrà in questo modo godere con maggiore intensità il momento della nascita. Il tutto si traduce inevitabilmente in positivo anche sul bimbo.
Molti sono i tocchi e le tecniche che possono essere utilizzate e ognuna porterà a dei risultati differenti. La cosiddetta “presa armonizzante”, ad esempio, è uno specifico movimento pressorio che facilita la regolarizzazione della respirazione nei momenti in cui la tensione e la stanchezza diventano particolarmente intense. In questo modo si favorisce uno stadio di rilassamento generale e il recupero delle forze spese.
In base a quanto dimostrato da recenti studi svizzeri, la procedura diagnostica che tutti conosciamo come ecografia ostetrica stimolerebbe il legame tra genitori e figlio. In che modo?
La visione “concreta” del bambino, effettuata attraverso le immagini ecografiche, a partire dal sesto mese di gravidanza, attiverebbe immediatamente le dinamiche verso la costruzione della relazione co-genitoriale.
Trasformarsi in genitori rappresenta un’importante fase di cambiamento sia per la donna che per l’uomo. La coppia, abituata a condurre un rapporto coniugale a due, vive un momento di transizione alla genitorialità e cogenitorialità. Condizioni significative dal punto di vista emozionale, fisico e sociale, osservabili a partire dal secondo trimestre di gravidanza.
L’atteggiamento reciproco e responsabile dei genitori s’intensifica via via durante il corso della gravidanza. Nello specifico, quando il bambino viene percepito concretamente, attraverso i movimenti fetali, e non più a livello immaginario. In questo processo di interazione familiare svolgerebbe, secondo gli studi, un ruolo fondamentale l’ecografia ostetrica, specie quella a quattro dimensioni (4D).
Nel processo psicologico dell’attesa, l’ecografia di routine, oltre a rassicurare la famiglia sullo stato di salute del bimbo, potrebbe dunque servire a dare un volto ed un’identità al nascituro. La conoscenza del prototipo infantile da parte dei genitori renderebbe perciò la gravidanza ancora più “reale”: impegnando la coppia in una riorganizzazione delle rappresentazioni mentali di se stessi e del bambino, e ne rafforza il legame.
Il rapporto madre-figlia è un rapporto in continua evoluzione, cambia dall’infanzia all’adolescenza e ancora in età adulta e allo stesso tempo è un pilastro fondamentale in ogni esperienza di vita che condiziona innumerevoli esperienze.
Anche durante la gravidanza, già di per sé periodo di grandi cambiamenti fisici e psicologici, il rapporto madre-figlia subisce un’ulteriore evoluzione.
La prospettiva di doversi occupare di un neonato, che dipende in tutto e per tutto dai genitori, può far paura e può mettere spesso in crisi le neo-mamme.
Mentre si cerca di costruire la propria identità di madre, ogni donna tende a fare riferimento all’esperienza diretta appoggiandosi alla propria figura materna: è così che durante la gravidanza il rapporto madre-figlia cambia ancora e si evolve con l’obiettivo di aiutare la gestante a costruire la propria identità e a superare nel migliore dei modi un periodo di forte cambiamento.
Avere paura ed essere insicure durante la gravidanza è del tutto normale, per questo spesso si cerca supporto e consiglio nella figura materna nel percorso che porta la gestante ad essere non più figlia ma a sua volta mamma.
L’equilibrio che si instaura in questo particolare momento… [SEGUE]
Spesso abbiamo sentito parlare di come lo stress, durante la gravidanza, abbia effetti negativi sulla salute della mamma e del bambino. Causa sintomi psicopatologici, quali depressione post-partum, parto prematuro, e complicanze ostetriche al momento della nascita.
Oltre ai ben noti rischi, ci si è chiesto se lo stress possa determinare qualche collegamento col sesso del bambino, e viceversa. Un recente studio condotto all’Università di Granada (Spagna) ha stabilito che chi soffre di stress prima della gravidanza e durante il concepimento ha quasi il doppio delle probabilità di generare una figlia femmina.
Per analizzare la relazione tra il sesso della prole e lo stress delle madri nel primo trimestre di gravidanza, 108 donne di età compresa tra 22 e 43 anni sono state sottoposte alla misurazione del loro stress biologico e psicologico.
Nel primo caso si è proceduto tramite misurazione dei livelli di cortisolo (ormone steroideo rilasciato in risposta allo stress) concentrato nei capelli; nel secondo caso, tramite PSS (scala dello stress percepito), PDQ (stress specifico della gravidanza) e SVS (vulnerabilità allo stress). I risultati sono stati sorprendenti: le donne che avevano partorito una femmina presentavano concentrazioni più elevate di cortisolo nei capelli, prima, durante, e dopo il concepimento, rispetto a quelle che avevano dato alla luce un bimbo.
Ci sono altre possibili ipotesi che tentano di spiegare questo fenomeno, tra cui i livelli più alti di testosterone femminile in correlazione allo stress prenatale.
Quello che è chiaro è che i feti sono vulnerabili e lo stress gioca un grande ruolo. Per corroborare questa tesi risultano fondamentali ulteriori studi.
La salute orale delle donne in gravidanza è molto importante, sia per loro stesse, che per i bambini e come tale, andrebbe maggiormente preservata; infatti si stima che siano moltissime le donne in età fertile con carie non trattate.
Quindi è evidente che la salute orale andrebbe curata anche nella fase precedente alla gravidanza, così da permettere alle madri di evitare tutta una serie di conseguenze a livello odontoiatrico e ai bambini di avere una maggiore tendenza a problemi dentali sin dalla più tenera età.
Da ciò si evince come la salute orale dovrebbe essere considerata parte integrante dell’assistenza prenatale, aumentando il più possibile la consapevolezza di quanto certi problemi nella madre potrebbero influire attivamente sulla salute dei propri piccoli.
Sono numerose le problematiche che possono presentarsi in gravidanza, compromettendo la salute orale delle mamme (spesso a causa dei cambiamenti ormonali): tra queste dobbiamo necessariamente citare le malattie parodontali, che affliggono una percentuale molto alta di donne gravide, ovvero il 60/75%.
La situazione più comune è rappresentata dalla gengivite, che è l’infiammazione delle gengive, che, se non curata, può evolvere in parodontite e comportare l’estrazione dei denti; alla parodontite sono però anche associati parto pretermine e basso peso fetale.
Tuttavia sono anche i cambiamenti a livello dei comportamenti alimentaria determinare… [SEGUE]
Sia i disturbi dell’umore sia le disfunzioni tiroidee sono comuni in gravidanza e nel periodo postpartum e possono avere implicazioni a breve e lungo termine per le madri e i loro bambini.
La tiroide è una ghiandola endocrina a forma di farfalla che si trova nella parte anteriore inferiore del collo e che produce due ormoni: la tiroxina (T4) e la triiodotironina (T3).
La tiroide svolge un ruolo fondamentale perché, rilasciando una quantità costante di ormoni tiroidei nel sangue, regola molte funzioni del corpo. Ad esempio, gli ormoni tiroidei possono influenzare la frequenza cardiaca (quanto velocemente il cuore) e il metabolismo (quanto bene e velocemente il corpo elabora il cibo). A volte la ghiandola tiroidea produce gli ormoni in maniera anomala: troppo pochi (ipotiroidismo) o in eccesso (ipertiroidismo).
Alcune donne hanno una disfunzione della tiroide prima della gravidanza, altre possono, invece, avere problemi alla tiroide per la prima volta durante la gravidanza o subito dopo il parto. Durante la gravidanza, gli ormoni tiroidei subiscono cambiamenti importanti ed è ormai ampiamente riconosciuto che i disturbi dell’umore e della cognizione spesso emergono in associazione a disturbi del metabolismo tiroideo.
Diversi studi hanno dimostrato, inoltre, una connessione tra la disfunzione tiroidea e la depressione durante la gravidanza e durante il periodo postpartum.
Opportunamente trattata, una disfunzione tiroidea non produce effetti né sulla madre né sul bambino. La disfunzione tiroidea in gravidanza non trattata può avere, invece, conseguenze per la madre e il bambino. I potenziali problemi includono la pre-eclampsia (gestosi), la possibilità di natalità prematura e anomalie congenite.
La tiroidite postpartum si verifica quando… [SEGUE]
La nutrizione in gravidanza è di fondamentale importanza sia per la madre che per il nascituro: se in passato ci si è concentrati maggiormente sul rischio legato alla malnutrizione, attualmente c’è il problema opposto, ovvero quello causato da una nutrizione eccessiva e non equilibrata.
Un discorso analogo vale per la nutrizione materna precedente alla gravidanza: anche in questo caso giova dire come in passato si ricercassero nella denutrizione della madre la cause di future patologie a carico del feto, mentre ora l’attenzione si è spostata sui rischi per i nascituri legati a condizioni di obesità materna nella fase precedente alla gravidanza e alla sua correlazione con patologie quali l’ipertensione, le malattie cardiovascolari, il diabete mellito e la sindrome metabolica.
Si intuisce dunque l’enorme impatto che la nutrizione materna abbia nel corretto sviluppo del feto e nella sua salute futura.
Una malnutrizione, intesa come carenza di nutrienti, è pericolosa soprattutto nel primo trimestre di gravidanza, ma può essere contrastata con un’alimentazione equilibrata e integrata con i nutrienti necessari (come ad esempio ferro, acido folico e acidi grassi polinsaturi).
Lo abbiamo però anticipato: anche il consumo eccessivo di cibo rappresenta un problema per il feto, insieme all’obesità e al sovrappeso materno; ad incidere sono anche patologie quali il diabete mellito, l’ipercolesterolemia e l’ipertensione, in quanto possono portare ad esiti avversi della gravidanza, inclusa la morte del feto.
Dunque è di fondamentale importanza che la nutrizione materna promuova un ambiente quanto più sano possibile, sia per lo sviluppo del feto, che per la salute di entrambi.
Sono molte le prestazioni specialistiche e diagnostiche, sia in fase preconcezionale che in gravidanza, per le quali l’Assistenza Sanitaria Nazionale stabilisce l’esenzione dalla compartecipazione al costo, altrimenti definita ticket. Vediamo insieme quali sono e chi può richiedere l’esenzione.
Parlando di prestazioni in sede preconcezionale, ovvero per tutte le coppie che desiderano mettere al mondo un figlio, esistono gli accertamenti relativi al rischio procreativo, per i quali l’esenzione può essere richiesta o dal medico di medicina generale o dallo specialista chiamato in causa, ovvero il ginecologo o il genetista.
Per quanto riguarda invece le prestazioni finalizzate a diagnosticare eventuali difetti genetici, solo il ginecologo o il genetista possono richiedere l’esenzione dal ticket. Sia il medico di medicina generale, sia il ginecologo, possono richiedere tale esenzione per il monitoraggio della gravidanza, ma in caso di gravidanza ritenuta a rischio, solo lo specialista può farlo.
Entrando nel merito della questione, è necessario specificare che l’esenzione dal ticket è prevista per tutta una serie di accertamenti clinici a livello preconcezionale, che sono: le prestazioni per la tutela della maternità responsabile (intendendo tutti gli esami diagnostici legati alla salute della madre, ma anche della coppia) e gli esami volti a scongiurare il rischio di patologie derivanti da uno o da entrambi i futuri genitori.
Mentre nel corso della gravidanza, la coppia ha diritto all’esenzione per tutta una serie di indagini diagnostiche (che includono vari prelievi di sangue ed ecografie), oltre alle visite periodiche di tipo ostetrico-ginecologico, ai corsi di training prenatale e all’assistenza al puerperio.
Da sottolineare che in caso sussista la concreta minaccia d’aborto… [SEGUE]
Quante emozioni e pensieri caratterizzano l’attesa di un bambino. Quando la gravidanza è desiderata, non si aspetta altro che la sua nascita, per potergli finalmente parlare e toccarlo dopo ben 9 mesi.
Recenti e importanti studi però dimostrano come relazionarsi con il futuro nascituro quando è ancora nella pancia della mamma, porti benefici sia per lui sia per i genitori.
Uno studio del 2019 pubblicato sulla rivista scientifica ‘Ostetricia’ indica come sia essenziale per la coppia che attende un bambino instaurare con lui un legame di tipo emotivo.
Si tratta di uno studio importante, che prende in considerazione la figura del papà, sovente marginale quando si tratta di gravidanze. Inoltre, focus della ricerca era anche quello di valutare alcune caratteristiche della coppia, come ad esempio il loro legame.
Cambia qualcosa per il feto e per il benessere della gravidanza se i genitori sono ostili tra loro o se invece hanno un’empatia profonda? L’ansia prenatale influisce sul modo in cui il feto si sviluppa? Apparentemente sì, e anche se gli studi da condurre sono ancora all’inizio, molti sono già i dati su cui ragionare.
Ulteriori evidenze arrivano da un altro studio del 2018 [SEGUE]
La paura del dolore e il dolore in sé spesso pietrificano le future mamme che devono dare alla luce un bambino.
E la paura non aiuta nella percezione del dolore e nella fase espulsiva, in cui la collaborazione della donna è fondamentale.
Da qui l’importanza di beneficiare di un corso di preparazione al parto valido che sappia preparare le mamme e dare loro i giusti strumenti per affrontare psicologicamente questo momento così delicato.
A tal proposito, è stato condotto lo studio PEARLS (Prenatal Education About Reducing Labour Stress) su un corso preparto della durata di un week end incentrato sulla Mindfulness in merito alle sensazioni provate pre e post partum. I risultati sono stati successivamente confrontati con quelli registrati su un campione di donne che invece ha seguito il corso preparto classico, che non si incentra sulle pratiche di terza generazione per la gestione dell’ansia.
Sul campione di donne che ha seguito la Mindfulness si sono registrati risultati [SEGUE]
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