I neonati provengono da un ambiente che si potrebbe definire acquatico e questa impronta sensoriale rimane solida per i primi mesi nella loro percezione. L’acquaticità offre gradi vantaggi per lo sviluppo
Spesso i bambini in età scolare hanno paura dell’acqua e di affrontare mere e piscina, ma se si comincia sin dai primi mesi a farli familiarizzare con questo mezzo è tutto più facile e naturale: le paure scompaiono e, con esse, i rischi di annegamento, anche in età adulta.
Per i bambini che hanno frequentato corsi in piscina fra 1 e 4 anni il rischio scende dell’88%: questo in base ad uno studio recente; mentre in base ad un’indagine analoga svoltasi in Cina, si parlerebbe solo del 40%; in ogni caso sono dati confortanti
I corsi di solito partono dai 4 mesi e vanno avanti fino ai 3 anni per insegnare tecniche natatorie e per aiutare i genitori a sviluppare un rapporto fisico coi figli in questo mezzo, ma anche fuori, con attrezzi galleggianti, ma anche soltanto stando insieme in vasca.
Tra i vari stimoli motori, il cross patterning laterale,per costruire legami neuronali legati al coordinamento, che aiutano nella lettura, nel linguaggio e nella consapevolezza spaziale.
Secondo uno studio della Griffith university australiana i bambini fra i 3 e i 5 anni che hanno fatto corsi in acqua hanno uno sviluppo verbale anticipato di 11 mesi rispetto ai coetanei, 17 per la memoria e 20 per l’orientamento spaziale.
Inoltre i bambini che hanno seguito i corsi, con o senza genitori, hanno meno difficoltà ad adattarsi a nuovi ambienti e situazioni, imparando a interagire meglio con oggetti sconosciuti o la cui forma appaia poco correlata con la funzione.
L’analisi di innumerevoli casi, nel corso degli ultimi due anni segnati dalla pandemia da Covid 19, ha dimostrato che il virus non si trasmette dalle madri positive ai neonati.
I bambini hanno, dunque, delle difese immunitarie che li proteggono dal contagio. Ma quale meccanismo si innesca perché tali difese si attivino?
La risposta a questo interrogativo potrebbe essere emersa da una recentissima ricerca dell’Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, condotta in collaborazione con il Politecnico Umberto I, i cui risultati, pubblicati sulla rivista scientifica JAMA Network Open, evidenziano il ruolo cruciale del latte materno nella formazione delle difese immunitarie dei bambini contro il Covid.
Lo studio ha esaminato 28 neomamme, non vaccinate e positive al Coronavirus, nel periodo in cui si avvicinavano al parto, e i loro bambini nati tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021.
Attraverso la placenta, le madri trasferiscono ai neonati i propri anticorpi di tipo IgG (le cosiddette immunoglobuline), sviluppatisi a seguito di proprie infezioni o precedenti vaccinazioni.
Tramite il latte materno, la madre trasferisce anche gli anticorpi IgA, noti anche come mucosali (perché si formano nelle mucose materne) e proteggono il neonato da raffreddore e influenza.
La ricerca del Bambin Gesù si è basata sull’esame della presenza di anticorpi IgG e IgA contro il Covid19 nel sangue e nel latte delle madri e nel sangue e nella saliva dei loro bambini. Gli esami sono iniziati a solo due giorni da parto e sono continuati per due mesi.
Si è scoperto che le immunoglobuline, a due giorni dal parto, erano presenti nel latte materno, ma non nel sangue delle madri, a riprova del fatto che la reazione delle mucose è immediata e veloce a differenza della risposta sistemica del corpo umano.
Nel sangue dei neonati gli anticorpi contro il SARS COV 2 non sono stati rilevati né nei due giorni successivi al parto, né dopo i due mesi. Essendone, infatti, priva al momento del parto, la madre non poteva trasmetterle al bambino tramite la placenta.
Sorprendentemente, nella saliva dei neonati, invece, gli anticorpi contro il covid sono stati rilevati sia dopo 48 ore, sia dopo due mesi dal parto.
La dottoressa Rita Carsetti, responsabile di Diagnostica di Immunologia al Bambino Gesù, spiega che le immunoglobuline delle madri infettate, combinate con la proteina “Spike” del virus, costituiscono un “immuno-complesso”, una particolare molecola che si trasferisce ai bambini con il latte materno stimolando la produzione di anticorpi contro il covid.
È come se il latte materno avesse svolto nei confronti dei bambini appena nati la funzione di un vaccino naturale, aiutandoli a produrre in modo autonomo le proprie difese immunitarie, oltre che a proteggerli passivamente dal contagio.
Gioco e neonato sembrano due concetti antitetici perché siamo convinti che il bimbo sia troppo piccolo per sperimentare un’attività ludica finalizzata all’apprendimento.
In realtà le cose non stanno così: la mente e il corpo del bambino si stanno sviluppando velocemente e in modo sorprendente. Durante il primo mese di vita il piccolo apprende e impara grazie all’interazione con i genitori. Ma come si fa a giocare con un neonato?
Durante il primo mese di vita, la pancia di mamma e papà è più interessante e stimolante di un parco giochi. Gli esperti consigliano infatti di mettere il bambino sulla pancia, quando è sveglio, più volte al giorno. Il focus di questa coccola-esercizio è aiutarlo a sviluppare le prime capacità motorie che coinvolgono anche la testa.
E se il bimbo non ama questa posizione? L’alternativa è sdraiarlo accanto a voi su un pavimento, incoraggiandolo a sollevare la testa con l’ausilio di un asciugamano morbido da mettere sotto il suo corpo per agevolarne i movimenti.
Il bambino alla nascita è dotato di alcuni riflessi involontari che gli garantiscono senza dubbio la sopravvivenza ma non dobbiamo sottovalutare la loro importanza in termini di interazione con il mondo esterno.
Se proviamo a toccargli una guancia appena nato, il piccolo si girerà istintivamente verso quel lato, pronto a nutrirsi: è un semplice riflesso, chiamato di radicazione. Se invece stimoliamo il piccolo con il gioco, nel giro di 3/4 settimane, inizierà a girarsi non per un semplice riflesso ma perché avrà imparato che in quella direzione trova del cibo. È una piccola conquista a metà strada tra l’orientamento temporale e la consapevolezza.
Non sottovalutiamo l’importanza del linguaggio, anche se ci può sembrare prematuro nei primi mesi di vita. In realtà i piccoli iniziano a collegare il suono della voce al volto ed è proprio quel suono che li spinge a essere più attivi e vigili. Non ha importanza quello che diciamo ma il modo.
Parliamo di qualsiasi cosa ma cerchiamo di intrattenerlo il più possibile con la nostra voce: il piccolo ascolta, collega e impara. Sotto questa ottica anche cantare diventa uno strumento indispensabile perché crea un apprendimento rapido e piacevole. Il bambino, grazie a questi piccoli gesti, impara a sua volta a comunicare.
Nei primi mesi di vita è necessario fornire al neonato una stimolazione che passa attraverso l’utilizzo di piccoli sonagli, giocattoli musicali o tramite la lettura di un libro colorato, uno strumento ideale per continuare a far sentire la nostra voce al bambino, modulando anche il tono e l’intensità.
I neonati, a differenza degli adulti, non sono ancora in grado di gestire correttamente il ritmo circadiano. Pertanto hanno bisogno di dormire anche di giorno, per un totale di 14/17 ore. Man mano che crescono, le ore di sonno necessarie al loro benessere diminuiscono progressivamente per assestarsi, attorno ai sei anni e quindi all’inizio della scuola primaria, attorno alle 7/9 ore di riposo esclusivamente notturno, più o meno come gli adulti.
Una premessa importante: ogni bambino è diverso e ha esigenze diverse, perciò occorre tenere presente che ogni indicazione relativa al numero di ore di sonno, è da considerarsi come indicazione di massima. La realtà concreta non aderisce a rigidi schemi, anche se questi possono fare da riferimento generale.
Finché si nutrono solo con latte materno o in polvere, i neonati generalmente fanno una poppata ogni 2/3 ore, quindi si svegliano ciclicamente seguendo il proprio ritmo alimentare. Non a caso, i primi mesi di vita di un bambino sono anche i più impegnativi per i genitori, che sono costretti a svegliarsi di notte diverse volte per poter nutrire il piccolo secondo le sue esigenze.
Con lo svezzamento le cose “migliorano“, in quanto i cibi solidi donano un senso di sazietà più lungo e, di conseguenza, il piccolo comincerà ad avere un ritmo di sonno/veglia più regolare. A partire dai 6/8 mesi, infatti, la maggior parte dei bambini è in grado di dormire 10 ore continuative di notte con due sonnellini diurni, uno a metà mattina e uno a metà pomeriggio.
Questo schema può essere considerato ideale fino ai 3 anni, quando il piccolo inizierà a frequentare la scuola dell’infanzia. A quel punto il ciclo del sonno ideale del bambino prevede un riposo notturno di 11/12 ore e un sonnellino pomeridiano di 1/2 ore.
Oltre alla quantità del sonno, è importante controllarne anche la qualità... [SEGUE]
Secondo i più recenti studi il latte materno è in grado di trasmettere le difese immunitarie ai figli. Questo sembra valere anche per gli anticorpi sviluppati dalle mamme che si sono vaccinate contro il Covid-19.
Dai test riportati su un campione di madri che sta allattando e che ha fatto il vaccino, nel latte non ci sono tracce di mRNA e di virus, anche se i risultati sono parziali a causa di forti limitazioni su questo tipo di indagini, legate al fatto che per questioni bioetiche non si possono includere tra i volontari di ricerca clinica donne incinte e in allattamento. Quindi si tratta di dati soltanto indicativi.
I dati della ricerca si basano esclusivamente su volontarie che hanno donato il loro latte dopo essere stati vaccinate con Pfizer e Moderna e dai test risulta che non solo non ci sono tracce di virus, ma è stata rilevata la presenza di anticorpi contro il Covid-19.
Gli studi sono stati effettuati da Kathryn Gray, medico specialista del settore fetale e materno dell’Ospedale di Boston, su un campione di 131 donne che hanno aderito allo studio.
Non è ancora un risultato definitivo a causa delle difficoltà con i dati senza un corretto screening, ma dopo la seconda dose del vaccino è stata rilevato un incremento degli anticorpi presenti nel latte e nessuna traccia di mRNA nei campioni di 6 partecipanti, che hanno donato entro i 2 giorni dalla somministrazione.
Quali sono le conseguenze? La presenza degli anticorpi nel latte è molto interessante, perché dagli studi risulterebbe come i bambini sotto i 3 mesi non possano produrre spontaneamente la protezione contro i virus e batteri con queste proteine, mentre le cellule B delle madri le generano costantemente, senza però che si possano trasmettere al latte materno perché sono troppo grandi e non passano attraverso i filtri biologici nei seni
La presenza di immunoglobuline nel latte è interessante, ma non si è ancora ben capito se ci sia un effettivo livelli di protezione garantito per i bambini e quanto questo possa essere rilevante.
Non è ben chiaro se gli anticorpi possono essere efficaci nei bambini e se siano in grado di contrastare il Covid, anche perché non esistono evidenze e sperimentazioni, che possono essere fatte per motivi etici.
Yariv Wine della Tel Aviv University ritiene che gli anticorpi potrebbero proteggere i bambini in allattamento, ma solo a patto che ci sia un costante immissione di queste particelle, altrimenti la concentrazione declina rapidamente e qualsiasi eventuale risultato si perde. Sembra anche che la concentrazione di anticorpi nel latte materno cali con il tempo.
I bambini nati prematuramente hanno bisogno spesso, oltre che dell’incubatrice, di cure di terapia intensiva durante le quali sono sottoposti a procedure mediche di routine che possono essere dolorose.
Una ricerca condotta da ricercatori dell’Università di Ginevra, guidati dal professor Didier Grandjean, in collaborazione con l’Ospedale Umberto Parini di Aosta e l’Università della Valle d’Aosta, ha evidenziato, sulla rivista Scientific Reports, gli effetti positivi sul nato prematuro della voce della madre.
Mentre la madre parla, durante la somministrazione di cure particolarmente dolorose, sul viso del neonato si registra una riduzione dei segni della sofferenza e, nel suo sangue, si evidenzia un significativo aumento del livello di ossitocina.
L’ossitocina è l’ormone dell’attaccamento coinvolto, oltre che nell’instaurazione dei legami affettivi, anche nella gestione dello stress: un suo aumento dimostrerebbe una maggiore capacità del neonato di sopportare il dolore.
Ai bambini prematuri è necessario somministrare cure quotidiane che possono essere causa di dolori più o meno intensi. Non è possibile usare antidolorifici farmaceutici frequentementeperché potrebbe avere effetti collaterali, a breve e lungo termine, sul loro sviluppo neurologico.
Vedere il proprio figlio piangere per motivi apparentemente non validi, come il semplice avvicinarsi di una persona non familiare, può destare preoccupazione nei genitori, oltre che essere fonte di imbarazzo.
Uno dei fenomeni più frequenti che coinvolge la maggior parte dei neonati è proprio la paura degli estranei, nota come “crisi dell’ottavo mese”. Il bambino, specie quando si trova nei primi di mesi di vita, reagisce a questo stimolo esterno utilizzando il pianto. Si tratta di una fase transitoria, che accompagna il neonato dagli otto mesi in poi, e che va poi a esaurirsi entro il secondo anno d’età.
Perché i neonati hanno paura degli estranei? Questa reazione viene stimolata nel momento in cui i bambini si rendono conto che davanti a sé non hanno più il genitore, bensì una persona sconosciuta, che non fa parte del proprio “nido”.
Si tratta di uno stato d’animo che rimarca a tutti gli effetti un rifiuto da parte del neonato delle persone che ha davanti, anche se si tratta dei nonni.
Molti genitori sono convinti che questa fase non sia funzionale nella crescita dei propri bambini, in verità è un chiaro segnale che indica i progressi compiuti dai bambini stessi: solitamente i neonati cominciano a distinguere i genitori dalle altre persone intorno all’ottavo mese, e nel momento in cui trovano davanti a sé un estraneo percepiscono un senso d’ansia, perché hanno coscienza del distacco avvenuto tra loro e i/il genitori/e.
Questa fase, seppur transitoria,può… [SEGUE]
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