Con il passare degli anni, la scienza ci ha offerto numerose scoperte in campo medico, aiutando le donne nonché future madri ad avere una maggiore consapevolezza del proprio corpo e del momento del parto.
La domanda che ogni donna si pone con frequenza è: come avviene il parto? Un quesito apparentemente semplice ma che nasconde nozioni di notevole importanza.
Ogni donna, a seconda della conformazione fisica, è dotata del canale del parto, in sostanza si tratta di un’escavazione attraverso cui passa il bambino durante il parto. I misteri del canale del parto sono numerosi e affascinano donne e uomini.
La maggior parte delle donne presenta nella parte superiore del canale del parto una forma ovale, al contrario la parte inferiore assume una forma ovale con una pronuncia longitudinale.
Queste specifiche indicazioni apparentemente possono sembrare superflue, in realtà, questa forma non lineare del canale del parto determina che al momento della nascita il bambino debba ruotare su se stesso, questo procedimento inevitabilmente aumenta la possibilità di complicazioni al momento della nascita.
In campo medico i pareri degli esperti hanno reso chiara l’idea che un canale del parto uniforme avrebbe potuto rendere le cose molto semplici, difatti, ciò è quanto stato affermato da Katya Stansfield specializzata in biomeccanica.
Dunque, il bambino deve compiere un’operazione di rotazione su se stesso per allineare il suo cranio con il canale del parto. Viceversa, se ciò non dovesse accadere ci sarebbe il rischio di un travaglio ostruito ma anche notevoli conseguenze sulla salute del bambino e della madre.
In materia si sono espressi anche numerosi ricercatori biologi dell’università di Vienna. Hanno dimostrato come il pavimento pelvico, situato nella parte inferiore del bacino, abbia influenzato l’evoluzione del canale del parto.
Difatti, l’autorevole studioso Philipp Mitteroecker sostiene che “l’allungamento trasversale dell’ingresso pelvico si sia evoluto a causa dei limiti sul diametro anteriore-posteriore negli esseri umani imposti dal bilanciamento della postura eretta, piuttosto che dall’efficienza della locomozione bipede”, questi elementi hanno posto le basi per un canale del parto attorcigliato.
La preeclampsia è un termine sconosciuto a molti ma frequentemente pronunciato dai medici alle donne durante la fase di gravidanza. Si tratta di ua particolare forma di ipertensione che si sviluppa durante la gestazione.
Le conseguenze di questa patologia sono da non sottovalutare: potrebbe determinare un distacco della placenta con conseguente nascita prematura del bambino.
Anno dopo anno, alla continua ricerca di un trattamento efficiente per la preeclampsia, i ricercatori si ritengono oggi ottimisti, affermando che la scienza ancora una volta è quasi giunta alla scoperta degli strumenti idonei per il trattamento della preeclampsia.
Uno studio pubblicato da The BMJ, ha osservato come la somministrazione del farmaco metformina (comunemente utilizzato per il diabete) ad una gestante, possa prolungare di una settimana la gravidanza.
Statisticamente questo studio ha riscontrato un’incidenza bassa, è necessario condurre ulteriori ricerche, ma si tratta pur sempre di una valida base di partenza per il raggiungimento di risultati rivoluzionari.
La scienza però non si è fermata qui, difatti alcuni ricercatori in Sud Africa e in Australia hanno condotto uno studio su ben 1800 donne, hanno valutato attentamente se il rilascio prolungato della metformina avesse determinato un prolungamento della gravidanza di donne affette da preeclampsia pre-termine.
Dunque, al fine di sviluppare e ampliare il campo di ricerca, gli studiosi hanno ritenuto opportuno suddividere le donne in due categorie: le donne della prima categoria hanno ricevuto il farmaco a rilascio prolungato quelle della seconda categoria hanno ricevuto il farmaco ogni giorno, fino al momento del parto.
Il risultato è stato chiaro e netto: le donne appartenenti alla prima categoria hanno riscontrato un aumento della gravidanza di circa 9,6 giorni in più, al contrario, le gestanti della seconda categoria hanno registrato un aumento di 11,5 giorni in più. In entrambi casi, i parti non hanno riscontrato particolari anomalie e complicazioni.
Questo studio è stato realizzato con un fine preciso: aiutare le donne e i loro bambini. Pur essendo ben progettato purtroppo è stato condotto su donne portatrici di HIV, affette da ipertensione e da obesità.
L’interesse dei ricercatori non si ferma qui, ma possono definirsi abbastanza soddisfatti e pronti ad affrontare un nuovo studio in materia con la consapevolezza che la metformina possa realmente aiutare le donne affette da questa patologia.
La gravidanza tende a sbilanciare drasticamente la forma del tronco: tutte le strutture, compresi i muscoli e le articolazioni, si tendono, infatti, per l’espansione dell’utero che accoglie il feto. Dalla ventesima settimana, le due fasce dei muscoli addominali retti si separano per fare spazio al bambino.
Il risultato è la cosiddetta diastasi recti (separazione addominale) con conseguente riduzione delle normali funzionalità degli stessi muscoli.
Si è ritenuto che a determinare la diastasi dei retti fossero specifiche condizioni, quali l’eccesso di peso della madre e del bambino. Una ricerca del 2015 ha smentito, però, la connessione tra la separazione dei muscoli addominali e fattori esterni. Il fenomeno è, in realtà, molto comune e colpisce oltre il 50% delle donne incinte.
I sintomi più comuni della diastasi recti includono: sensazione di gonfiore e crampi allo stomaco, male alla schiena nella parte lombare, stipsi e incontinenza. In alcuni casi si rilevano difficoltà respiratorie e digestive.
Durante la gravidanza, possono non manifestarsi sintomi evidenti. Nel secondo o terzo trimestre, si può notare un rigonfiamento sulla pancia, sopra e sotto l’ombelico, più evidente quando si usano i muscoli addominali per alzarsi, sedersi o sdraiarsi.
Se si avvertono intense sintomatologie dolorose all’addome, al bacino o alla schiena, è necessario rivolgersi immediatamente al medico.
Dopo il parto, il sintomo più evidente è un gonfiore persistente sull’addome, quasi come se il bambino non fosse ancora nato. La diagnosi della diastasi dei retti parte da una procedura che si può compiere anche da sole: ci si sdraia sulla schiena con le gambe flesse e i piedi appoggiati a terra; a questo punto si devono sollevare le spalle sorreggendo la testa con una mano. Con la mano libera si ispeziona l’addome, sopra e sotto l’ombelico, tastando le fasce muscolari.
È in corso la diastasi dei retti se si avverte, in alcuni casi non solo con il tatto ma anche a vista, un vuoto evidente tra i muscoli addominali.
Man mano che questi riacquistano forza e ciò avviene regolarmente dopo diverse settimane dal parto, il divario tra le due fasce muscolari inizierà a ridursi naturalmente. Il medico può confermare la diagnosi di diastasi dei retti con l’ecografia che fornisce, ovviamente, una misurazione più accurata dell’anomalia.
Per favorire la riduzione della diastasi è necessario:
Evitare di sollevare pesi
Evitare esercizi fisici che determinano iperpressione addominale.
Mantenere una postura corretta soprattutto durante l’impegno fisico
Regolarizzare l’intestino
Ridurre la tosse e controllare l’addome durante per evitare di “spanciare”.
Si chiama baby brain e colpisce 4 donne in gravidanza su 5. I sintomi? Si avverte la strana sensazione che il cervello sia avvolto da una nebbia, la tendenza è quella di dimenticare le cose e di essere più disattente. Bisogna preoccuparsi? Niente affatto, è un fenomeno del tutto naturale e passeggero.
Ad affermarlo è il risultato di un’analisi capillare eseguita dai ricercatori della Deakin University in Australia che ha coinvolto più di 1.200 donne in dolce attesa. Grazie ai vari esperimenti clinici, gli studiosi sono giunti alla conclusione che il funzionamento cognitivo in gravidanza è ridotto, soprattutto durante il terzo trimestre.
A risentire di questa “nebbia mentale” sono soprattutto le funzioni che riguardano l’attenzione ai dettagli, la risoluzione dei problemi e la pianificazione degli eventi.
I risultati di questo studio, pubblicato su The Medical Journal of Australia, sono comunque da leggere con estrema cautela, secondo gli stessi ricercatori, perché non riguardano l’intera gravidanza e possono anche non comparire.
Un successivo studio pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience ha addirittura evidenziato come ci sia un’effettiva perdita di materia grigia nella zona dell’ippocampo, la parte del cervello dove vengono generati nuovi neuroni.
Durante la gravidanza, si verifica un aumento naturale dei tassi di colesterolo nel sangue delle madri. Il colesterolo è, infatti, indispensabile allo sviluppo cerebrale del feto e, inoltre, riveste un ruolo fondamentale nella produzione degli ormoni steroidei, estrogeni e progesterone, che svolgono un ruolo chiave per il buon esito della gestazione.
I livelli di colesterolo cominciano a aumentare nel secondo trimestre di gravidanza, raggiungono un picco durante il terzo e in genere tornano alla normalità circa quattro settimane dopo il parto.
Nella maggior parte dei casi, il colesterolo alto nelle donne in gravidanza non viene trattato, a meno che non vi siano elevate probabilità di rischio cardiovascolare. Il colesterolo alto durante la gravidanza può aggravare l’ipertensione indotta dalla gravidanza stessa, minacciando la vita sia della madre che del bambino. Anche il colesterolo basso può avere conseguenze negative (travaglio anticipato, bambino sottopeso al momento del parto).
L’uso delle statine, prescritte in condizioni normali per abbassare i livelli di colesterolo, è sconsigliato in gravidanza. Per tenere sotto controllo il colesterolo durante la gravidanza è necessario ricorrere a metodi naturali: seguire una dieta equilibrata con frutta, verdura e fibre; evitare i grassi saturi; fare esercizio fisico.
Uno studio pubblicato di recente sull’European Journal of Preventive Cardiology ha individuato una correlazione diretta tra il colesterolo alto delle madri in gravidanza e possibili patologie cardiache dei figli. La ricerca, guidata dal professor Cacciatore dell’Università di Napoli Federico II, ha, però, una portata limitata per la scarsità dei dati a disposizione.
Il colesterolo, infatti, non viene monitorato costantemente nella routine di controlli a cui vengono sottoposte le donne incinte. Di conseguenza mancano informazioni relative alla correlazione con la salute dei figli.
Se confermata, l’ipotesi suggerita dalla ricerca del prof. Cacciatore, potrebbe avere implicazioni importanti a livello preventivo. L’aumento del colesterolo costituirebbe un pericoloso campanello d’allarme da tenere sotto controllo per impedire conseguenze sulla salute cardiaca dei figli. Inoltre, indurrebbe a tenere alta l’attenzione sui bambini pianificando regimi dietetici e attività fisiche atte a ridurre i rischi cardiaci.
Dei 310 pazienti che sono stati esaminati in un arco temporale di trent’anni (tra il 1991 e il 2019) 89 erano reduci da infarto. Di questi, oltre l’ottanta per cento erano uomini con un’età media di 47 anni. I pazienti sono stati classificati in base alla gravità dell’infarto.
Sono stati esaminati i dati sul livello di colesterolo delle madri di tutti i pazienti durante la gestazione. Al netto della considerazione degli altri fattori di rischio (condizioni anagrafiche, eccesso di peso, abitudini scorrette, pressione alta, precedenti familiari, diabete, patologie cardiache in atto o pregresse), il livello alto di colesterolo delle madri è risultato proporzionalmente collegato alla gravità dell’infarto.
Esporsi al sole durante la gestazione potrebbe favorire lo sviluppo del cervello del bambino. Nuove scoperte dei ricercatori dell’Università di Umeå, in Svezia, che lavorano in collaborazione con colleghi americani, potrebbero fornire una migliore comprensione di alcune malattie neurologiche che si manifestano in tarda età.
La professoressa Lena Gunhaga dell’UCMM (“Umeå Center for Molecular Medicine”) della Umeå University afferma che questa interessante scoperta potrebbe suggerire, l’adozione, in un futuro molto prossimo, di un innovativo trattamento per le partorienti. Per diminuire l’incorrere di patologie neurologiche nell’età adulta, la ricerca dell’università svedese ipotizza, infatti, il ricorso, durante la gravidanza, della sottoposizione delle donne a stimoli luminosi.
Il gruppo di ricerca svedese, coadiuvato dal professor Richard Lang a Cincinnati, USA, e dal suo team, ha dimostrato la presenza dell’Opsina 3 nel cervello umano sin dallo stato fetale. La molecola Opsina 3 ha un ruolo importante nella formazione di vari neuroni, nonché di diverse, aree del cervello e del midollo spinale.
Le opsine sono le molecole fotorecettrici universali di tutti i sistemi visivi del regno animale. Possono cambiare la loro conformazione da uno stato di riposo a uno stato di segnalazione dell’assorbimento della luce, che attiva la proteina G, determinando così una cascata di ulteriori segnalazioni che producono risposte fisiologiche. L’Opsina 3, in particolare, può essere collegata ai neuroni che presiedono a varie funzioni del corpo umano, non solo dal punto di vista motorio, ma anche puramente sensoriale (dal dolore alla memoria, dalle emozioni alla vista).
Il principio di base dello studio della professoressa GunHaga, cioè l’influenza della luce sulla formazione del cervello e sul suo uso per prevenire l’insorgere di patologie neurologiche, è nuovo. E’ noto, invece, da diverso tempo che la luce riesce ad attraversare l’epidermide (oltre che i tessuti molli e il cranio) per attivare sostanze come l’opsina 3. Prendendo spunto da quest’asserzione, ampiamente provata scientificamente, si è rilevato che la luce ha un compito fondamentale e imprescindibile nello sviluppo del sistema nervoso umano.
Si è spesso osservato, finora senza basi certe, che la stagione di nascita influisce sul rischio di patologie neurologiche: i nati in stagioni fredde (con meno luce del sole, quindi), sarebbero più soggetti a contrarre malattie di questo tipo (Parkinson, sclerosi multipla, autismo, Alzheimer, disturbo bipolare, schizofrenia ed epilessia).
La ricerca svedese potrebbe confermare questa ipotesi. Lo studio è stato recentemente pubblicato sull’importante rivista scientifica online eNeuro. Necessita, comunque, di ulteriori approfondimenti. E’stata condotta, infatti, solo su topi e l’azione dell’esposizione al sole durante la gravidanza negli esseri umani rimane ancora da testare.
Molte donne incinte si sentono a corto di fiato sin dall’inizio della gestazione. La sensazione di fiato corto, nella maggior parte dei casi, è un disturbo fastidioso ma innocuo che non ha conseguenze sulla salute della madre e del bambino.
Nelle prime settimane di gravidanza, il progesterone espande la capacità polmonare della madre per far arrivare ossigeno al feto. Ne deriva un aumento della frequenza respiratoria della donna che può apparire come una mancanza di respiro.
Man mano che la gravidanza prosegue e il bambino diventa più grande, l’utero occupa più spazio nell’addome fino a quando, intorno alla 31° – 34° settimana, inizia a premere sul diaframma: il muscolo sottile a forma di cupola che si trova sotto i polmoni e il cuore e che consente l’espirazione e l’inspirazione. Questi cambiamenti possono rendere difficile l’espansione completa dei polmoni con conseguente sensazione di mancanza di respiro.
Seguendo alcuni accorgimenti comportamentali e posturali, è possibile ridurre i fastidi derivanti dal fiato corto. Quando si sta in piedi, è necessario tenere la testa alta e le spalle ben dritte, visualizzando una linea retta che parte dallo sterno e sale verso l’alto. La giusta postura aumenta lo spazio a disposizione dei polmoni che, quindi, svolgono meglio il loro compito.
Molto utile è l’esercizio aerobico che migliora la respirazione e riduce la frequenza cardiaca. Ogni programma aerobico deve essere approvato dal medico curante. Ottimo è lo yoga prenatale che aiuta a migliorare la postura e ad agevolare la respirazione. E’ essenziale ascoltare e assecondare i bisogni del proprio corpo e riposarsi sempre quando si sente di aver bisogno di una pausa.
La sensazione di fiato corto migliora man mano che ci si avvicina al termine della gravidanza. Durante le ultime settimane, quando il bambino si sistema più in basso nel bacino per prepararsi al parto, la pressione sui polmoni e sul diaframma diminuisce e la madre comincia a respirare con più facilità.
Per quanto sia normale sentirsi a fiato corto in gravidanza, è necessario rivolgersi al medico se la mancanza di respiro diventa grave o si manifesta all’improvviso; in caso di palpitazioni cardiache; se si avverte una sensazione di vertigine o se ci si sente mancare; se si accusano dolori al torace; se si riscontrano lividi blu intorno alle labbra, le dita delle mani o dei piedi; se insorge una tosse stizzita che non si riesce a far cessare; se si hanno brividi e febbre.
Tutte le malattie respiratorie in gravidanza possono peggiorare. Se si soffre di asma, il medico deciderà quali misure adottare per gestire al meglio il periodo di gestazione.
Secondo una ricerca condotta dalla dottoressa Michal Elovitz dell’Università della Pennsylvania, l’analisi del microbioma vaginale in gravidanza può prevedere il rischio di parto pretermine.
In medicina si indica con il termine parto pretermine tutte quelle nascite che avvengono prima della trentasettesima settimana di gestazione.
Si tratta di un fenomeno frequente e che mette a repentaglio la sopravvivenza dei feti, tanto che negli ultimi anni questa viene considerata come la principale causa di morte fra i nascituri; diversamente, se un feto riesce a restare in vita risulta maggiormente esposto a disordini neuro-comportamentali, che emergono non al momento della nascita ma in fase di crescita.
I risultati di questo studio sono stati pubblicati sulla nota rivista scientifica Nature Communications e hanno dato a tutti gli effetti una svolta su una materia tanto spinosa quanto delicata. Alla sperimentazione hanno partecipato 2000 donne che si trovavano in stato interessante e a ognuna di esse è stato prelevato il microbioma vaginale e messo a confronto.
Successivamente sono stati analizzati i campioni di microbioma di donne africane che avevano portato a termine la gravidanza, con quelli delle gestanti che hanno avuto un’esperienza di parto pretermine.
Quello che fino a poco tempo fa sembrava atipico, pian piano sta entrando a far parte della normalità.
A causa della pandemia i professionisti sanitari hanno dovuto reinventare il modo di dispensare consulti ai propri pazienti e, tra questi, gli esperti in ginecologia e ostetricia.
Una scelta, quindi dettata dalla necessità ma che pare abbia avuto esiti positivi per il benessere della donna. In particolare, da un’indagine pubblicata sulla rivista di ginecologia Obstetrics & Gynecology nel 2020 dal titolo “Telehealth Interventions to Improve Obstetric and Gynecologic Health Outcomes. A Systematic Review.”, è emerso che la telemedicina ha avuto un impatto positivo sulle pratiche messe in atto in gravidanza, quali l’allattamento al seno e la cessazione del vizio del fumo, ma anche sulla continuazione di pratiche contraccettive.
Inoltre, tra i benefici rilevati troviamo la minor frequentazione degli ambulatori e il fatto che sia stata richiesta e garantita assistenza in materia di pratiche abortive. Infine, è stato sfruttato il progresso tecnologico, con ottimi risultati, per l’invio di notifiche riguardanti i test di screening sulle malattie sessualmente trasmissibili ed è stato apprezzato anche per il monitoraggio delle gravidanze ad alto rischio.
La telemedicina in ambito ostetrico-ginecologico si sta largamente diffondendo [SEGUE]
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