Svezzamento: meglio omogeneizzati o cibi freschi?

Svezzamento: meglio omogeneizzati o cibi freschi?

Secondo una ricerca gli omogeneizzati industriali avrebbero un valore nutritivo molto inferiore rispetto ai cibi freschi e ai pasti preparati a casa.

Molti omogeneizzati contengono, infatti, una enorme quantità di zuccheri inutili, oltre a essere consigliati, in modo a dir poco azzardato, per l’alimentazione dei bambini a partire dai quattro mesi di età. Secondo le linee guida sullo svezzamento, i bambini dovrebbero, invece, cominciare ad assumere cibi solidi, oltre al latte materno o artificale, intorno ai sei mesi.

Lo svezzamento è spesso anticipato forzatamente proprio perché le mamme sono indotte in errore dalle etichette di alcuni alimenti per la prima infanzia, contrassegnati come adatti dai quattro mesi in poi.

Gli esperti del dipartimento di nutrizione umana dell’Università di Glasgow hanno analizzato una vasta gamma di alimenti per l’infanzia prodotti dai principali produttori del Regno Unito valutandone le informazioni nutrizionali (calorie, grassi, ferro e calcio).

Dei 479 alimenti esaminati, quasi la metà (il 44%, per la precisione) erano destinati a bambini a partire dai quattro mesi. I ricercatori hanno rilevato che il contenuto calorico degli alimenti al cucchiaio è, in media, di 282 kJ (67 calorie) per 100 g, quasi identico al latte artificiale (283 kJ per 100 g di formula). La differenza dei prodotti industriali con gli alimenti naturali non risiede, quindi, nell’apporto calorico, ma nella qualità dei nutrienti.

Gli alimenti commerciali, infatti, rispetto a quelli fatti in casa, sono risultati ricchi di zuccheri e carenti di ferro.

L’eccesso di zuccheri a partire dalla tenerissima età può avere conseguenze spiacevoli: i bambini, abituandosi a un gusto dolce e deciso, potrebbero sviluppare una poco salutare avversione verso cibi meno saporiti, ma più sani.

Molti genitori, per vari motivi, trovano comodo ricorrere ai prodotti preconfezionati, senza considerare che la preparazione dei cibi, oltre a essere migliore qualitativamente, è anche economicamente conveniente, sebbene più dispendiosa in termini di tempo.

Gli alimenti per l’infanzia fatti in casa sono realizzati con ingredienti freschi che conservano intatto il proprio contenuto di sostanze nutritive. Inoltre, la preparazione di passati di verdura, verdura, carne e pesce, grazie agli elettrodomestici moderni, si è enormemente semplificata.

Abituare i bambini a una alimentazione naturale sin dalla più tenera età significa educare il loro gusto a cibi sani con conseguenti benefici sulla loro salute in età adulta. L’uso, invece, di soli prodotti industriali sortirà necessariamente l’effetto opposto.

Fonti

The types of food introduced during complementary feeding and risk of childhood obesity: a systematic review

Complementary feeding and the early origins of obesity risk: a study protocol

Starting solid foods

Bambini ed emicrania: il ruolo dell’alimentazione

Bambini ed emicrania: il ruolo dell’alimentazione

Dagli studi risulta che il 10% dei bambini anche in età prescolare soffre di frequenti problemi di emicrania, spesso molto grave, vista la giovane età.

Tra le cause più importanti quelle di origine alimentare, come hanno stabilito i ricercatori dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù con uno studio del Dipartimento di Neuroscienze, pubblicando i risultati sulla rivista Nutritens.

I casi di emicrania nei bambini nel 5% dei casi rischiano di diventare cronici e impattare sulle attività sportive ludiche e scolastiche. In molti casi può avere un’origine genetica, con cause scatenanti che possono influenzare intensità e frequenza, come lo stress e la depressione.

Spesso si tratta di situazioni tese di origine familiare che portano all’ansia nei più piccoli e per alcuni alimenti, on-line si trovano falsi miti come quelli sui dolcificanti artificiali, il glutine, il glutammato di sodio, oltre che cioccolato e nitriti presenti negli insaccati.

Dallo studio non risulta esserci una correlazione diretta con questi alimenti, anche per dosaggi relativamente elevati e per i dolcificanti non ci sono dati. Alcune informazioni sono state correlate con caffeina e alcool, ma queste sostanze non sono presenti in quantità apprezzabili nella dieta di un pubblico di età pediatrica.

Bisogna considerare però che alcune componenti analoghe e in particolare tracce di caffeina sono presenti in molte bevande gassate, m non è il caso di rimuovere tout-court un alimento se prima non è stato fatto uno studio di correlazione.

Tra i test da effettuare ci sono le intolleranze per glutine, nichel, pomodoro, nocciole, arachidi, lattosio ed altri allergeni noti e che spesso sono parte degli alimenti sospetti, presenti anche in tracce, ma che per organismi sensibili come quelli dei bambini possono farsi sentire.

Inoltre l’obesità sembra essere un elemento molto influente. Nel 65% dei bambini e sovrappeso causa spesso attacchi di emicrania. In molti casi poi si provvede a utilizzare rimedi nutraceutici a base di magnesio o partenio, ma non ci sono evidenze scientifiche sull’effettivo funzionamento per i pazienti più piccoli.

In ogni caso bisogna valutare insieme al pediatra eventuali rischi di interazione con altri fattori, che potrebbero aggravare la situazione invece che migliorarla.

Fonti:

Truths and Myths in Pediatric Migraine and Nutrition

Bambini ed emicrania: non esistono cibi vietati, neanche il cioccolato. Ma attenzione al sovrappeso.

Il bambino con cefalea acuta: istruzioni per l’uso

Il latte materno è come un vaccino

Il latte materno è come un vaccino

L’analisi di innumerevoli casi, nel corso degli ultimi due anni segnati dalla pandemia da Covid 19, ha dimostrato che il virus non si trasmette dalle madri positive ai neonati.

I bambini hanno, dunque, delle difese immunitarie che li proteggono dal contagio. Ma quale meccanismo si innesca perché tali difese si attivino?

La risposta a questo interrogativo potrebbe essere emersa da una recentissima ricerca dell’Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, condotta in collaborazione con il Politecnico Umberto I, i cui risultati, pubblicati sulla rivista scientifica JAMA Network Open, evidenziano il ruolo cruciale del latte materno nella formazione delle difese immunitarie dei bambini contro il Covid.

Lo studio ha esaminato 28 neomamme, non vaccinate e positive al Coronavirus, nel periodo in cui si avvicinavano al parto, e i loro bambini nati tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021.

Attraverso la placenta, le madri trasferiscono ai neonati i propri anticorpi di tipo IgG (le cosiddette immunoglobuline), sviluppatisi a seguito di proprie infezioni o precedenti vaccinazioni.

Tramite il latte materno, la madre trasferisce anche gli anticorpi IgA, noti anche come mucosali (perché si formano nelle mucose materne) e proteggono il neonato da raffreddore e influenza.

La ricerca del Bambin Gesù si è basata sull’esame della presenza di anticorpi IgG e IgA contro il Covid19 nel sangue e nel latte delle madri e nel sangue e nella saliva dei loro bambini. Gli esami sono iniziati a solo due giorni da parto e sono continuati per due mesi.

Si è scoperto che le immunoglobuline, a due giorni dal parto, erano presenti nel latte materno, ma non nel sangue delle madri, a riprova del fatto che la reazione delle mucose è immediata e veloce a differenza della risposta sistemica del corpo umano.

Nel sangue dei neonati gli anticorpi contro il SARS COV 2 non sono stati rilevati né nei due giorni successivi al parto, né dopo i due mesi. Essendone, infatti, priva al momento del parto, la madre non poteva trasmetterle al bambino tramite la placenta.

Sorprendentemente, nella saliva dei neonati, invece, gli anticorpi contro il covid sono stati rilevati sia dopo 48 ore, sia dopo due mesi dal parto.

La dottoressa Rita Carsetti, responsabile di Diagnostica di Immunologia al Bambino Gesù, spiega che le immunoglobuline delle madri infettate, combinate con la proteina “Spike” del virus, costituiscono un “immuno-complesso”, una particolare molecola che si trasferisce ai bambini con il latte materno stimolando la produzione di anticorpi contro il covid.

È come se il latte materno avesse svolto nei confronti dei bambini appena nati la funzione di un vaccino naturale, aiutandoli a produrre in modo autonomo le proprie difese immunitarie, oltre che a proteggerli passivamente dal contagio.

Fonti:

BAMBINO GESU’: Comunicato stampa del 5/11/2021

Il latte materno stimola le difese anti Covid-19 dei neonati

Lavaggi nasali: servono o sono rischiosi?

Tanto odiati dai bambini ma procurano un sollievo immediato in caso di raffreddore, sono veloci, economici e ritenuti generalmente privi di effetti collaterali. Stiamo parlando dei lavaggi nasali, utilizzati per liberare il nasino dei neonati da muco e catarro. Ma sono davvero sicuri e innocui per le mucose dei bambini più piccoli? Facciamo un po’ di chiarezza.

Nel 2016, in seguito al decesso di una bambina torinese di due mesi e mezzo, alcuni pediatri hanno puntato il dito contro la pratica quotidiana dei lavaggi nasali. La piccola infatti era svenuta durante il bagnetto, nel momento in cui la mamma le stava liberando il nasino, tramite il classico lavaggio nasale.

Alcuni esperti affermarono che questa pratica, a prima vista semplice e totalmente innocua, non era priva di rischi soprattutto se effettuata in modo scorretto o con troppa energia. A far la differenza, secondo i pediatri, era anche la temperatura della soluzione stessa che, se troppo fredda, poteva scatenare una reazione paragonabile a un’immersione in acqua fredda. Lo shock termico avrebbe impedito il respiro nelle prime vie aeree superiori, il conseguente rallentamento del battito cardiaco e lo svenimento del piccolo.

Questo clima di generale allarmismo, nato dalla tragedia della piccola, è stato ridimensionato nel corso degli anni. Lo studio “Nasal saline irrigation in children: a study of compliance and tolerance” pubblicato su PubMed, ha affermato che la maggior parte dei bambini tollera con successo l’irrigazione nasale.

Anche nel nostro Paese sono intervenuti alcuni esperti per confermare l’efficacia e la sicurezza del lavaggio nasale. Roberto Cutrera, direttore dell’unità di bronco-pneumologia all’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma. Secondo lo specialista, non sussiste nessun pericolo nei lavaggi nasali a patto ovviamente di eseguirli nella maniera corretta.

Nei piccoli fino a 18 mesi è consigliabile… [SEGUE]

I neonati possono essere anemici?

I neonati possono essere anemici?

Sono sempre più numerosi i neonati che soffrono di anemia, una patologia che causa un forte pallore della pelle e delle mucose, stanchezza e fragilità. Nonostante possa suscitare molte perplessità e qualche paura nei genitori, non è il caso di allarmarsi. Basta seguire le indicazioni del proprio pediatra per risolvere al più presto la situazione senza nessuna conseguenza.

Si parla di anemia nel neonato quando il livello di emoglobina del bambino è basso. Durante la gravidanza, il piccolo accumula un discreto quantitativo di riserve di ferro. Dopo il parto, queste riserve tendono a diminuire fino a esaurirsi completamente entro i 6 mesi di vita, soprattutto se il neonato è allattato esclusivamente al seno.

Se l’alimentazione non compensa questa improvvisa carenza, il rischio è che il neonato diventi anemico. Il latte materno infatti da solo non riesce a coprire il fabbisogno nutrizionale del piccolo e il rischio è quello di andare incontro a eventuali carenze.

Non sottovalutiamo il ruolo del latte vaccino nel periodo successivo ai 12 mesi, quando cioè prosegue la fase dello svezzamento. Questo alimento non solo è povero di ferro ma di fatto ne ostacola l’assorbimento.

A volte invece si registra la presenza di anemie emorragiche, dovute al passaggio anomalo di sangue tra la madre e il feto, oppure questa patologia può essere causata da alcuni farmaci assunti dalla madre o da una dieta non equilibrata e carente in acido folico e ferro.

I sintomi nel neonato sono molto specifici. Il piccolo appare pallido, privo di energia e stanco, è soggetto a frequenti infezioni soprattutto respiratorie, ha poco appetito e l’accrescimento è scarso.

In presenza di queste segnali è necessario consultare il pediatra di fiducia che valuterà con calma i sintomi, la storia clinica del neonato e prescriverà una serie di semplici esami come la sideremia, l’emocromo e la ferritinemia. Queste analisi sono necessarie per verificare gli effettivi livelli di ferro nel sangue e la quantità di globuli rossi.

Cosa succede se il piccolo dovesse risultare effettivamente anemico? In questo caso il pediatra presterà particolare attenzione all’alimentazione, prescrivendo l’utilizzo di un latte di crescita in sostituzione del vaccino se il bambino non è allattato al seno o, se il bimbo è nella fase dello svezzamento, incoraggerà i genitori a fornire al piccolo, attraverso il cibo, i nutrienti che gli occorrono per stare bene.

Se questi accorgimenti dietetici non dovessero bastare, il pediatra può valutare l’inserimento di un integratore di ferro in fiale e gocce. Basta seguire queste semplici ma efficaci indicazioni per risolvere nel giro di pochi mesi l’anemia del neonato.

Fonti

Pathophysiology of Anemia During the Neonatal Period, Including Anemia of Prematurity

Diagnosis and prevention of iron deficiency and iron-deficiency anemia in infants and young children (0–3 years of age)

Telepediatria: la nuova frontiera delle cure per la prima infanzia

Telepediatria: la nuova frontiera delle cure per la prima infanzia

Le prime esperienze di telemedicina risalgono addirittura agli inizi del Novecento, ma è con la pandemia di questo periodo che si è scoperta davvero l’importanza e la potenzialità di questa speciale disciplina. E non poteva di certo mancare, tra le varie specializzazioni, anche quella pediatrica.

Facciamo, innanzitutto, un po’ di chiarezza. La telepediatria è la possibilità di condividere dati clinici e medici anche a grande distanza per migliorare la condizione di salute dei pazienti che, in questo caso, sono dei bambini e dei ragazzi. Per fare tutto ciò si ricorre all’utilizzo delle più moderne vie di telecomunicazione.

Sicuramente c’è una vena di scetticismo da parte di molte persone nei confronti di questa particolare pratica medica e sicuramente è impensabile credere di eliminare in tutto e per tutto la medicina tradizionale con questa più innovativa.

Non si può però negare che la telepediatria può portare a numerosi vantaggi e risolvere anche grossi problemi. Riesce, ad esempio, a ridurre notevolmente i tempi di intervento e a creare una fitta rete capillare di screening. Riesce, poi, a facilitare il consulto e lo scambio di informazioni tra professionisti presenti in luoghi differenti e di rilevare i dati clinici dei pazienti direttamente dalle loro abitazioni.

Naturalmente, per riuscire a creare un servizio di qualità ed efficiente è fondamentale l’attività di organizzazione di base, una corretta formazione di tutti i professionisti sanitari coinvolti, ma anche dei piccoli pazienti e delle loro famiglie.

Un errore da non commettere, però, è quello di credere che la telepediatria sia uno strumento da utilizzare in caso di emergenza e difficoltà, proprio come è avvenuto di recente con la pandemia. Anzi, questa pratica medica deve diventare parte della routine e della quotidianità.

Molti genitori obiettano, però, che questo tipo di medicina a lungo andare elimina il rapporto tra il paziente e il medico che, ancor più nel caso dei bambini, è fondamentale. In realtà non è così, anzi se la telepediatria viene organizzata e gestita in maniera corretta e funzionale, la relazione tra professionista sanitario e interlocutore può diventare ancora più stretta perché è molto più rapida, quasi immediata e possibile praticamente in qualsiasi momento e luogo.

Nel caso particolare, poi, del paziente pediatrico, può essere notevolmente ridotto il senso di paura nei confronti del ‘camice bianco’ e può essere quasi fatta vivere al piccolo come un gioco.
Purtroppo ad oggi, però, non esiste ancora una normativa precisa e specifica che regolamenti l’attività di telemedicina e telepediatria.

Fonti

Perché la Pediatria deve pensare alla telemedicina

Prove tecniche di telepediatria

ISS: Telepediatria, raccomandazioni e indicazioni su come gestire il paziente pediatrico con l’ausilio della medicina online

La telepediatria: prime indicazioni operative dagli USA

Le apnee notturne e  russamento nei bambini

Le apnee notturne e russamento nei bambini

Il tuo bambino russa molto oppure soffre di apnee notturne? Potrebbe trattarsi di apnea ostruttiva.

L’apnea ostruttiva del sonno avviene quando un bambino, di solito tra i due e i sei anni di età, smette brevemente di respirare durante il sonno per il restringimento o il blocco delle vie aeree superiori. La pausa nella respirazione può verificarsi molte volte durante la notte, interrompendo il sonno del bambino.

I muscoli della testa e del collo fanno sì che le vie aeree superiori non si chiudano. Quando un bambino si addormenta, questi muscoli tendono a rilassarsi, quindi a piegarsi e ad avvicinarsi tra loro. Se le vie aeree sono già parzialmente chiuse durante la veglia, addormentarsi può determinarne l’ostruzione totale.

Nei bambini, la causa più comune dell’apnea notturna sono le tonsille e le adenoidi ingrossate. Queste ghiandole si trovano nella parte posteriore e ai lati della gola. Una qualsiasi infezione può provocarne l’ingrossamento e, di conseguenza, bloccare brevemente le vie aeree durante il sonno. Altre cause possono essere, l’obesità, anomalie craniofacciali e disturbi neuromuscolari, la sindrome di Down e la sindrome di Pierre-Robin.

Russare è il sintomo caratteristico dell’apnea ostruttiva del sonno. E’ anche vero, però, che un bambino può russare senza avere problemi respiratori imputabili all’apnea. Altri sintomi da valutare sono: la respirazione con la bocca durante il sonno, tosse, sudorazione notturna, sonnambulismo, sonniloquio (parlare nel sonno), enuresi notturna (bagnare il letto).

I sintomi dell’apnea notturna non si limitano al periodo in cui il bambino dorme, ma estendono i loro effetti anche nelle ore diurne con conseguenze rilevanti sulla vita normale del piccolo.

Il bambino può, infatti, soffrire di sonnolenza diurna, difficoltà a concentrarsi, mal di testa e umore irritabile al mattino, difficoltà a controllare le emozioni. Addirittura possono riscontrarsi problemi comportamentali simili a quelli determinati dall’ADHD ovvero il disturbo da deficit di attenzione e iperattività.

I sintomi dell’apnea ostruttiva del sonno possono essere riconducibili anche ad altre patologie. È opportuno consultare il medico curante per una diagnosi precisa. La diagnosi e il trattamento tempestivo possono evitare complicazioni successive nella crescita e nell’apprendimento cognitivo.

Il trattamento partirà dalla causa dell’apnea e dipenderà dai sintomi, dall’età, dalla salute generale del bambino e dalla gravità della condizione. Può consistere, quindi, in un intervento chirurgico per rimuovere le tonsille e le adenoidi ingrossate; una dieta per fare perdere peso al bambino; l’uso di una maschera speciale che eroga un flusso d’aria costante per mantenere aperte le sue vie aeree; un intervento di espansione mascellare rapida messo in atto da un ortodontista tramite un dispositivo che allarga il palato e le vie nasali.

Fonti

Effectiveness of Adenotonsillectomy vs Watchful Waiting in Young Children With Mild to Moderate Obstructive Sleep Apnea

Linee guida nazionali per la prevenzione ed il trattamento odontoiatrico del russamento e della sindrome delle apnee ostruttive nel sonno in età evolutiva

Neonato: quando si può iniziare ad uscire

Molto spesso in ambito pediatrico esistono diversi punti di vista e scuole di pensiero, ma alla domanda se si può portare fuori il neonato, la risposta è nella stragrande maggioranza dei casi Sì.

Su internet si leggono spesso notizie infondate, che possono fare molto più danno di quanto ci si possa immaginare e ci si trova a dover rispondere a mamme che domandano se il neonato deve restare in casa per almeno un mese, perché l’hanno letto su qualche sito con la benché minima ombra di attendibilità.

Vediamo allora qual è Il parere dei pediatri in materia di uscite con il neonato.

Anne Hansen, MD, MPH, del Children’s Hospital Boston, dove ricopre il ruolo di Direttore Medico dell’Unità Neonatale di Terapia Intensiva, alla domanda se sia possibile portare i neonati fuori, ha immediatamente risposto che non ci sono problemi.

L’idea che i bambini debbano restare protetti in casa per alcune settimane dopo la nascita è semplicemente infondata. Basta che il neonato sia sano e non sottoposto a un regime medico in cui è stato esplicitamente detto di non portarlo fuori e seguire alcune semplici precauzioni di buon senso.

Ma come fare per le uscite col neonato? [SEGUE]

Neo mamme vaccinate: gli anticorpi passano nel latte

Neo mamme vaccinate: gli anticorpi passano nel latte

Secondo i più recenti studi il latte materno è in grado di trasmettere le difese immunitarie ai figli. Questo sembra valere anche per gli anticorpi sviluppati dalle mamme che si sono vaccinate contro il Covid-19.

Dai test riportati su un campione di madri che sta allattando e che ha fatto il vaccino, nel latte non ci sono tracce di mRNA e di virus, anche se i risultati sono parziali a causa di forti limitazioni su questo tipo di indagini, legate al fatto che per questioni bioetiche non si possono includere tra i volontari di ricerca clinica donne incinte e in allattamento. Quindi si tratta di dati soltanto indicativi.

I dati della ricerca si basano esclusivamente su volontarie che hanno donato il loro latte dopo essere stati vaccinate con Pfizer e Moderna e dai test risulta che non solo non ci sono tracce di virus, ma è stata rilevata la presenza di anticorpi contro il Covid-19.

Gli studi sono stati effettuati da Kathryn Gray, medico specialista del settore fetale e materno dell’Ospedale di Boston, su un campione di 131 donne che hanno aderito allo studio.

Non è ancora un risultato definitivo a causa delle difficoltà con i dati senza un corretto screening, ma dopo la seconda dose del vaccino è stata rilevato un incremento degli anticorpi presenti nel latte e nessuna traccia di mRNA nei campioni di 6 partecipanti, che hanno donato entro i 2 giorni dalla somministrazione.

Quali sono le conseguenze? La presenza degli anticorpi nel latte è molto interessante, perché dagli studi risulterebbe come i bambini sotto i 3 mesi non possano produrre spontaneamente la protezione contro i virus e batteri con queste proteine, mentre le cellule B delle madri le generano costantemente, senza però che si possano trasmettere al latte materno perché sono troppo grandi e non passano attraverso i filtri biologici nei seni

La presenza di immunoglobuline nel latte è interessante, ma non si è ancora ben capito se ci sia un effettivo livelli di protezione garantito per i bambini e quanto questo possa essere rilevante.

Non è ben chiaro se gli anticorpi possono essere efficaci nei bambini e se siano in grado di contrastare il Covid, anche perché non esistono evidenze e sperimentazioni, che possono essere fatte per motivi etici.

Yariv Wine della Tel Aviv University ritiene che gli anticorpi potrebbero proteggere i bambini in allattamento, ma solo a patto che ci sia un costante immissione di queste particelle, altrimenti la concentrazione declina rapidamente e qualsiasi eventuale risultato si perde. Sembra anche che la concentrazione di anticorpi nel latte materno cali con il tempo.

Fonti:

Nature: COVID vaccines and breastfeeding: what the data say

Mille giorni per decidere il corso della vita

Mille giorni per decidere il corso della vita

Le esperienze di un bambino nei primi mille giorni di vita, dal concepimento all’età di due anni, possono avere un effetto permanente sulla sua salute e sul suo benessere. In questo lasso di tempo, lo sviluppo e la crescita del bambino seguono un percorso straordinario secondo un ritmo che non si ripeterà più.

Le cose giuste fatte nel modo giusto avranno un impatto profondo e duraturo nella vita del bambino e dai eventuali errori potrebbero scaturire conseguenze negative di difficile recupero.

Mille giorni che, in un opuscolo pubblicato a luglio dall’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma, sono definiti come una straordinaria finestra di opportunità.

Dopo la nascita, l’ambiente, l’alimentazione e le relazioni sono, infatti, determinanti per la salute e il benessere dei piccoli. Essere affamati o essere esposti a stress o abusi durante i primi due anni di vita può avere un effetto permanente sullo sviluppo e influire negativamente sulla salute fisica perfino in età avanzata.

La giusta dieta nei primi mille giorni aiuterà a sviluppare correttamente l’apprendimento, le capacità fisiche e le emozioni del bambino. Una cattiva alimentazione durante la gravidanza e nei primi anni di vita può portare in età adulta a obesità, malattie cardiache e ictus.

Per garantire al bambino il miglior inizio possibile di vita, è importante, quindi, seguire una dieta sana durante la gravidanza e allattare, quando possibile, al seno per almeno 6 mesi. Una volta che il bambino inizia a mangiare cibi solidi, lo si deve aiutare a sviluppare abitudini alimentari sane che lo accompagneranno per tutta la vita.

La ricerca ha dimostrato, inoltre, che se una madre è molto stressata durante la gravidanza e durante la prima infanzia, ciò può influenzare il sistema nervoso e lo sviluppo emotivo e cognitivo del bambino.

Nei primi mille giorni, relazioni amorevoli e sicure sono vitali. È attraverso di esse che i bambini imparano a pensare, capire, comunicare, manifestare le emozioni e comportarsi. Le relazioni influenzano il modo in cui i bambini si approcciano al mondo e il modo in cui s’inseriscono nella società. Giocare, cantare, leggere e parlare con il bambino sono tutte attività importanti per aiutarlo a sentirsi al sicuro e amato.

I primi mille giorni sono un periodo di rapida crescita fisica e mentale, un’opportunità unica per creare le basi del benessere e dell’intelligenza del bambino. Le azioni che si compiono in questa finestra temporale si ripercuotono per tutta la vita del bambino: è importante, soprattutto per i genitori, tenerlo bene a mente.

Fonte:

Ospedale Bambino Gesù

Bambini: no schermi fino ai 2 anni

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i neonati e i bambini non dovrebbero passare del tempo davanti agli schermi di tablet, pc o smartphone. Le raccomandazioni fanno parte di linee guida più ampie sull’attività fisica, il sonno e il comportamento sedentario che incoraggiano una maggiore attività fisica a partire dalla prima infanzia.

Per prevenire patologie future, in primis l’obesità infantile (e tutte le eventuali patologie connesse), e assicurare ai futuri adolescenti e adulti, un livello soddisfacente di benessere psico-fisico, è indispensabile diminuire la sedentarietà, incoraggiare l’attività fisica e assicurare una buona qualità del sonno nei bambini sin da piccolissimi.

I dati sulla sedentarietà degli adolescenti (80%) e degli adulti (23%) e sulle gravi conseguenze che ne derivano (oltre 5 milioni di decessi all’anno nel mondo per malattie collegate) sono illuminanti sulla necessità di abituarsi a uno stile di vita corretto a partire già dai primi due anni di vita.

Fondamentale, quindi, impegnare i bambini con giochi attivi, assicurandosi, al contempo, che il loro sonno sia sufficiente e di buona qualità.

Da uno studio, che ha interessato più di 500 bambini, pubblicato sulla rivista The Lancet Child and Adolescent Health nel gennaio del 2020 si evince che i bambini di età compresa tra i due e i tre anni che trascorrono più di tre ore al giorno davanti a qualsiasi tipo di schermo (tablet, pc, TV), all’età di 5 anni sono fisicamente meno attivi rispetto ai coetanei che, invece, utilizzano lo schermo per un’ora o meno ogni giorno.

rofessore Associato… [SEGUE]

L’allattamento prolungato può prevenire l’obesità

Una domanda ricorrente delle neomamme è la possibilità di prevenire il rischio di obesità futura grazie anche all’allattamento al seno.

Ci sono ipotesi fisiopatologiche che correlano le componenti protettive del latte naturale con l’abbassamento dell’incidenza di casi di sovrappeso patologico.

Il plasma dei bambini che presenta una più alta concentrazione di insulina e un precoce sviluppo di iperlipemia, si correla a stati di ipertensione arteriosa e diabete mellito oltre che insulinoresistenza e ha notevoli ripercussioni sociali ed economiche.

L’allattamento al seno è dunque protettivo contro l’obesità infantile? La rivista MeSH di PubMed ha pubblicato una revisione sistematica del luglio 2004 di alcuni articoli, il primo dei quali è a firma Arenz S, Ruckerl R, Koletzko B.

Da questo studio risulta che che i bambini che sono stati allevati con latte artificiale presenterebbero un deposito adiposo eccessivo, mentre quelli allattati al seno hanno una riduzione dei livelli di leptina e un maggior grado di autoregolazione dell’assunzione calorica, che porta a un minor introito alimentare.

Per la salute pubblica l’obesità infantile è…. [SEGUE]

La voce della mamma come antidolorifico

I bambini nati prematuramente hanno bisogno spesso, oltre che dell’incubatrice, di cure di terapia intensiva durante le quali sono sottoposti a procedure mediche di routine che possono essere dolorose.

Una ricerca condotta da ricercatori dell’Università di Ginevra, guidati dal professor Didier Grandjean, in collaborazione con l’Ospedale Umberto Parini di Aosta e l’Università della Valle d’Aosta, ha evidenziato, sulla rivista Scientific Reports, gli effetti positivi sul nato prematuro della voce della madre.

Mentre la madre parla, durante la somministrazione di cure particolarmente dolorose, sul viso del neonato si registra una riduzione dei segni della sofferenza e, nel suo sangue, si evidenzia un significativo aumento del livello di ossitocina.

L’ossitocina è l’ormone dell’attaccamento coinvolto, oltre che nell’instaurazione dei legami affettivi, anche nella gestione dello stress: un suo aumento dimostrerebbe una maggiore capacità del neonato di sopportare il dolore.

Ai bambini prematuri è necessario somministrare cure quotidiane che possono essere causa di dolori più o meno intensi. Non è possibile usare antidolorifici farmaceutici frequentemente perché potrebbe avere effetti collaterali, a breve e lungo termine, sul loro sviluppo neurologico.

Da decenni, vari studi hanno dimostrato… [SEGUE]